46. Canis Majoris

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Saleem l'attaccò.
L'arma fra le sue mani si scagliò repentina su di lei, o meglio, sulla scimitarra lucente che aveva estratto per difendersi e, quando le due lame si intersecarono tra loro, fecero un rumore stridente che riempì l'aria circostante come un'onda.
Non le diede il tempo di domandargli il motivo, perché alzò di nuovo l'elsa e la riabbassò verso di lei che, indietreggiando a fatica sugli scalini, riuscì a parare anche quel nuovo attacco, mentre un piede dopo l'altro saliva all'indietro i piccoli gradini in pietra.
Intuendo le sue mosse, la costrinse con un balzo a farla roteare su se stessa, premendo forte la spada sulla sua, fu costretta ad indietreggiare lontano dalla via d'uscita che era certa l'avrebbe riportata in mensa e lontano dallo scontro.
Duellarono come due spadaccini, e quando l'ebbe portata dall'altra parte della sala, un sorriso felino si impadronì del suo viso, mostrando tutti i denti bianchi e lucidissimi la incitò all'offensiva «Dimostrami che sei in grado di usare l'arma che hai scelto» propose con voce mielosa, la sua voce era un invito allertante mentre i suoi muscoli tesi avrebbero spaventato chiunque, rafforzò poderoso la presa mentre il contrasto scintillante delle loro armi la fece perdere, suo malgrado, l'equilibrio.
Cadde in ginocchio non mollando mai la presa sulla sciabola, con uno slancio perfetto si gettò di lato rotolando per darsi il tempo di rialzarsi mentre la sua punta d'acciaio si conficcò al suolo proprio ad una spanna da lei, appena si issò, la lama di Saleem spezzò di nuovo l'aria davanti a lei cosi vicina che sentì il movimento d'aria spostarle tutti i capelli. Una piccola ciocca ricadde sul suo scarpone, la guardò deglutendo a fatica per aver schivato per un pelo il colpo appena assestatogli.
«Sadico» disse ansimante, impugnando meglio l'elsa di legno intagliato fra le sue mani.
Lui barcollò in avanti quando lei gli si sottrasse, poi la raggiunse incombendo in tutta la sua maestosa altezza.
«Come tuo superiore devo solo accettarmi che questa sia l'arma giusta per te» tuonò, con un sorriso mellifluo che andava in netto contrasto con le sferzate che le stava rivolgendo. Stava per voltarsi di nuovo verso l'uscita lontana, quando il riflesso splendete della lama le si parò davanti accecandola appena. La bloccò sul posto, pietrificandola quando la punta affilata le accarezzò ruvidamente il mento, scendendo verso la sua gola, sentì mancarle l'aria al freddo pungente dell'metallo, percepiva il respiro caldo dell'uomo dietro di sé solleticarle il collo; la lama si fece ancora in avanti, costringendola ad arretrare di schiena, rimanendo incastrata fra l'arma e il corpo caldo di Saleem.

«Dove scappi» sussurrò con le labbra quasi premute vicino al lobo, sentiva chiaramente il suono del suo respiro, e tutto il suo corpo a suo dispetto sembrò tendersi in quell'unica direzione. Lui aveva soltanto la visuale dei suoi capelli e parte del suo profilo, finché non la fece specchiare nell'acciaio riflettente, che le donò la vista dei suoi occhi chiari e azzurri come le acque di un mare profondo che non aveva mai avuto il beneficio di ammirare. Fin da quando era nato, era vissuto in un palazzo dai muri troppo alti, la sua vita era stata da sempre piena di regole indeclinabili e aspettative troppo grandi. Nella sua vita, oltre al palazzo e al deserto arido e a poche città vicine, non aveva mai visto nient'altro che i suoi confini. Skye invece, proveniva da un paese lontanissimo per lui, lei invece, era cresciuta fra brughiere sempre verdi, venti gelidi e scogliere insormontabili che sfociavano su un oceano scalpitante che continuava ad infrangersi ritmicamente con alte maree ai pendici dei faraglioni che circondavano tutte le coste. A dimostrare quanto fossero diversi vi era tutto, il colore diverso dei loro occhi, il contrasto chiaro-scuro della loro carnagione, perfino tutto ciò che avevano sempre fatto prima di intrecciare i loro destini. Lei era sempre stata una ballerina, passava giornate intere a danzare, per scalfire il candore della sua anima era bastato lui.

Con lei, aveva sempre la sensazione di aver rovinato qualcosa di bello, come quando da piccolo strappava le rose scarlatte dai cespugli dei giardini reali solo per una piccola ripicca verso una madre assente. Aveva violato ciò che di quieto c'era in lei, acceso una miccia che aveva dato il via ad un fuoco brulicante che non riusciva a spegnere né a tenere a bada.

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