7. Il nido e l'uccello

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Ora che le sue domande avevano avuto perlopiù risposte, Skye non riusciva a dormire.
Chiusa nella sua camera, i suoi pensieri vagano sconnessi tra loro, tenendola sveglia.
Finalmente conosceva anche il motivo per cui tutti quelli che aveva incontrato in quel luogo... quello che loro stessi definivano Villaggio, erano armati. Si sarebbe dovuta rincuorare del fatto che non erano armati per lei. Ma niente di quello che aveva detto Adil l'aveva rassicurata.
Inspiegabilmente sentiva quella guerra essersi fatta più vicina, come se da un momento all'altro i soldati di Icaro avrebbero sfondato quella stessa porta per finire ciò che avevano iniziato 4 anni prima.
Ancor di più della sua vita, temeva per i suoi cari. La possibilità che le forze nemiche avessero potuto conquistare anche Dover erano vicine.
Nemiche... era cosi che definiva Icaro ormai, senza neanche averlo mai visto, era diventato suo rivale e minacciava di distruggerla per sempre... se solo avesse preso prima i suoi cari che lei.

Di fronte a chi veniva a vederla danzare, Skye si era sempre sentita un leone, sicura di sé in ogni mossa, mai e poi mai si era sentita piccola mentre ballava.

Avrebbe tanto rivoluto quel coraggio perché nelle ultime ore, per non dire giorni, si era sentita minuscola di fronte a tutto ciò, quasi come un frignone avrebbe soluto voluto chiudersi in camera a piangere tutte le sue lacrime.

Lì fuori vi erano fabbricanti di armi, giovani donne che provavano a curare infezioni con sole garze sterili e acqua sudicia, e persone come Saleem invece, si rendevano pronti alla difensiva se non all'attacco in qualsiasi momento.

Sopraffatta si sentiva come un uccello in gabbia. E proprio quest'ultimo avrebbe dovuto imparare a volare nelle tenebre più scure.
Non aveva opzioni.
Non c'era nessun piano B.

Questa non era più solo la loro guerra...Saalem, il Vecchio, Joseph e tutti gli altri erano restati muti a combattere soli contro chi minacciava l'intero mondo.

Doveva mettere la paura e l'egoismo da parte poiché non solo la su famiglia era in pericolo, ma l'intero mondo.
Non avrebbe mai permesso a Icaro di ridurre Dover e Parigi come aveva ridotto quella città.
Sarebbe dovuto passare prima sul suo cadavere.

Chiuse gli occhi, sperando che il sonno venisse a trovarla.
Per rilassarsi pensò a luoghi lontani e le venne in mente solo Cal.

Si ricordò di quella volta in cui di fronte casa incontrarono un piccolo uccello caduto dal nido. Intenerita dal cinguettio stonato si fermò a guardarlo ma Cal le prese la mano e le disse che sua non potevano farci nulla. Era colpa del destino.
Mai Skye si sentì tanto impotente come quel giorno,
per questo si arrampicò sull'unico albero più vicino, quello che affacciava sulla camera di sua nonna. Raggiunse un groviglio di rami da una forma circolare , trionfante posò l'esserino fra quei grovigli.

Non seppe mai la fine di quel uccello, se quel nido era davvero casa sua o se fosse caduto un'altra volta.
Ma quel giorno Cal gli disse una cosa importante mentre si puliva le mani sul suo vestito sgualcito dai rami.
Una cosa che ricordava ogni volta che doveva compiere una scelta importante, come quando lasciò Dover per seguire ciò che credeva essere i suoi sogni a Parigi;

Le disse che quel giorno, Skye non si era arresa al destino.

Che la sua ostinata cocciutaggine l'avrebbe prima o poi portata da qualche parte. Tentare, era sempre meglio di voltarsi dall'altra parte.

Ora non poteva voltarsi dall'altro lato e aspettare.
Lei doveva tentare, agire.
Mettersi ancora una volta contro al destino.

Poi incredibilmente, il sonno arrivò. Morfeo questa volta la cullo teneramente privandola di incubi e risvegli di soprassalto.

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