3. La gazzella e il cacciatore.

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Le palpebre pesanti di Skye si aprirono con troppa difficoltà e appena lo fecero, una fitta intensa le partì dal lato destro della testa e si propagò velocemente su tutto il resto del corpo che ora era... disteso. Il dolore la riportò a destarsi rapidamente contro il suo volere, mise una mano alla nuca istintivamente, come se potesse bloccare l'emicrania che già pulsava forte.
Tutto era sfocato, dovette sbattere gli occhi più volte prima che spaventata si alzasse di colpo tenendo la schiena piatta al muro spoglio che trovò dietro di sè. Dopo che le vertigini le passarono, potè guardarsi intorno con un espressione di confusione mista al dolore dipinta sul volto.

Le pareti mostrano un colore che prima era sicuramente bianco ma che ora non lo era più, un unico ambiente composto da un tavolo raggrinzito consumato dai tarli, un cuscino ed una coperta logora dall'aspetto poco invitante, erano le uniche cose presenti lì con lei.
Non aveva nient'altro a disposizione per capire dove fosse.

Però la mancanza dei servizi principali come un vero letto, un orologio o un bagno la fece ricredere di essere in una stanza d'ospedale.
E allora: dov'era?

Guardò di fronte a lei e si precipitò, troppo fiduciosa, sull'unica porta della stanza ma essa, una volta abbassata la maniglia, rimase immobile.

Provò allora con tutte le sue forze a prendere una rincorsa, nonostante la piccola metratura della camera, e si lanciò con il suo peso verso l'uscita ma tutti i suoi tentativi fallirono miseramente.

Già stanca con il dolore martellante di un grosso mal di testa, si accasciò contro la porta, le spalle toccarono il metallo freddo, facendole chiudere per un attimo le palpebre.
Caldo, faceva tremendamente caldo.
Ma dove si trovava? In una fornace?
Desiderò subito di essere ovunque, ma non lì.

Sembrò essere passata un eternità da quando era rimasta ferma mezza accasciata alla porta, e per quanto ne sapeva, poteva essere realmente passato quel lasso di tempo. Continuava a crogiolarsi nei suoi stessi pensieri cercando di non pensare al dolore alla testa, quando un rumore la fece sussultare. Aguzzò le orecchie in cerca del minimo suono, sperando di non averlo sognato, quando ne risentì uno uguale.
Un piccolo palpito, no... non un palpito, uno bussare!

Era come se qualcuno picchiettasse sul metallo della porta.... Come un lampo, Skye si alzò e si allontanò da essa andando dall'altra parte della stanza con un enorme salto mentre, con suo stupore, la porta venne schiusa e il cuore le arrivò in gola dalla sorpresa e dalla paura che si confusero bene fra loro.

Piano a piano che essa veniva aperta, il metallo lasciava spazio ad altro, poté finalmente intravedere un anfibio nero, poi il suo sguardo salì lungo a delle gambe lunghe, troppo lunghe, per poi arrivare a vedere quel viso.

Era come tuffarsi a bomba nell'oceano più freddo. Skye schiuse le labbra secche mentre associava quel viso a quella notte.
Era di nuovo lui; lo stesso uomo che aveva sparato al teatro, era stato capace di uccidere.
Sembrava essere in un incubo senza fine, e Skye sperò fino al midollo di star sognando.
Questa, per lei, non poteva essere la realtà.

Milioni di domande e pensieri poco gradevoli si accavallarono nella mente di Skye che rimase immobile come una statua che rischiava di andare in frantumi, gli occhi fissi nei movimenti lenti e pacati di chi aveva di fronte.
Capì subito di essere finita chissà come, ad essere una pedina della scacchiera che c'è iva mossa da fili invisibili.

Il ragazzo che a prima vista sembrò avere la sua stessa età, entrò definitivamente nella stanza lasciandosi la soglia alle spalle.
Le dita lunghe e piene zeppe di graffi stringevano un vassoio di plastica con sopra qualcosa di fumante che Skye a malapena guardò, invece si gettò come un falco alla porta, con la mera speranza di passarla liscia e scappare via.

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