CAPITOLO 66

55 13 2
                                    

BIANCA

Non mi ero mai scoperta così ardita con un ragazzo. Vinta dalle emozioni al punto da dimenticare ciò che ero stata, ciò che ero ancora ed avere fiducia in me stessa, da scoprirmi così sicura. Era stato Omar a darmi quella sicurezza, quella fede in me stessa insomma.

Lavoravo per una cooperativa sociale ora; mi occupavo di minori al Circolo junior. La signora Lisbo, con cui ero rimasta a contatto, mi aveva proposto quell'impiego ed ero stata più che contenta di accettare.

Era passato ormai un mese da quella notte ed ero ancora lì; a casa di Omar. Avevo portato tutta la mia roba alla fine e non me n'ero più andata.

Qualcuno avrebbe obiettato che era troppo presto per una convivenza, ma ci era venuto così naturale che pareva ci conoscessimo da secoli e aspettassimo solo di incontrarci.

Omar aveva accettato l'aiuto di professionisti come mi aveva promesso, vedendo in quegli incontri davvero una speranza. Stava cercando di non bere ed aveva addirittura smesso di fumare. Stava cercando di riprendere in mano la sua vita insomma.

Raccontare il suo passato non era stato poi troppo difficile. Era pronto a mettere in valigia i suoi ricordi, i suoi rimorsi, sua madre senza lasciarla andare... e ad affrontare quel lungo cammino verso la salvezza.

Aveva recuperato il rapporto con suo padre. E questo indubbiamente lo aveva favorito, oltre a lavorare per la palestra in maniera più assidua e aver ripreso gli studi abbandonati, il che gli dava un obiettivo nella vita. Ora faceva il Personal Trainer ed era pronto a diventare un grafico.

L'impegno costante gli aveva fornito un'altra prospettiva da cui guardare la sua esistenza, dandogli quella speranza nel futuro di cui parlavo io e che mi auguravo prima o poi potesse trovare...

Maggio era arrivato senza che me ne rendessi conto. Già si sentivano nell'aria le piacevoli brezze tiepide dell'estate che permettevano talvolta di scoprirsi un po' di più.

...

Gettai un occhio all'orologio al polso: le 19 e 30.

"Ci starà già aspettando? E se non venisse?" chiesi agitata ad Omar riferendomi a suo padre mentre camminavamo spediti sull'ultimo tratto di marciapiedi che ci separava dal ristorante.

Andavamo a cena con lui dopo le mie insistenze e quella era la prima volta che lo incontravo. Ero nervosissima.

"Vuoi stare tranquilla! Verrà, magari un po' in ritardo, ma verrà... non darebbe mai buca a te"

Come previsto da Omar quando raggiungemmo il locale al tavolo prenotato eravamo i primi. Suo padre non c'era ancora.

Tirai un sospiro di sollievo. Mi avrebbe fatto sentire più a disagio essere in ritardo.

Ci fecero accomodare in attesa.

Mi guardai attorno quasi tremante; le mani in grembo che si torturavano l'una col l'altra. Non avevo mai provato un'ansia simile. Non sapevo cos'era giusto dirgli, né se mi avrebbe fatto domande troppo personali.

Se mi avesse domandato come avevo conosciuto Omar era giusto dirgli che avevo rischiato di diventare la sua Assistente sociale? Che rispetto avrebbe avuto di me? Forse gli sarei sembrata superficiale, frivola.

L'ansia aumentò dopo quindici minuti di attesa.

Mi guardavo attorno smarrita.

Il locale mi agitava. Era un ristorante troppo fine per come ero io: le luci soffuse, la gente elegante che parlava in sottofondo, i camerieri perfetti nelle loro divise... ogni cosa mi innervosiva. Persino Omar aveva messo la camicia e la giacca. Mi sentivo fuori posto nonostante indossassi un abito nero elegante ed un paio di tacchi alti. Il giacchino traforato dello stesso colore che avevo sopra mi sembrava troppo semplice in quel momento. Così come i capelli raccolti in una coda erano troppo banali.

Ancora tu...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora