BIANCA
Nove mesi prima...
Vrr... vrr... vrr..
Lo shaker della sveglia vibrò come un terremoto sotto la mia testa insinuandosi prepotentemente nei miei sogni.
Aprii gli occhi in uno spiraglio e mi issai un poco per alzare il cuscino. Stanca lo tirai fuori e lo posai sul lenzuolo.
Il display verde dell'orologio sul comodino stava lampeggiando ad intermittenza nel buio della stanza illuminandola a giorno.
Mi rizzai a sedere cercando di aprire di più le palpebre; i lunghi capelli disordinati mi ricaddero sul viso.
Per fortuna mi ero svegliata; avevo il sonno pesante, arrivavo in ritardo tutte le volte.
Tirai un profondo respiro riflettendoci e li spostai indietro con una mano.
Il display mandò ancora lampi.
Segnava le 7.
"Uffa!" brontolai col pensiero spegnendola.
Era ora e mi pareva di essermi appena coricata.
Com'era possibile che il tempo in certi momenti scorresse così in fretta, mi chiesi.
Sprofondai un'altra volta sul materasso, con il viso all'insù, tirandomi le coperte fin sotto il mento e chiusi gli occhi.
Ancora un minuto...
Ma appena un secondo più tardi essermelo imposto aprii un occhio.
Chissà che ora era adesso, mi chiesi voltandomi verso la sveglia.
Le 7 e 3 minuti.
Che stress, sospirai. Come potevo rilassarmi a quel modo?
Il fatto era che quel minuto non me lo sarei mai concessa veramente per paura di riaddormentarmi.
Ma avevo bisogno ancora di qualche istante prima di decidermi a mettere i piedi a terra e risistemare la testa comunque...
Basta!
Mi misi a sedere un'altra volta tra il tepore delle coperte e mi scostai di nuovo i lunghi e mossi capelli color cannella dal viso.
Piegai le ginocchia, accesi l'abat jour e presi dal cassetto del comodino il mio diario e la penna.
Mi ero imposta di scrivere i miei propositi appena alzata. Era un'abitudine che avevo da tempo. Appuntavo le mie intenzioni per la giornata, le mie emozioni... mi aiutava a concentrarmi...
Caro diario,
quest'oggi voglio sorridere.
E il mio sorriso servirà per dire: sto bene. Ce l'ho fatta.
Non sarò più la ragazza triste che aiuta gli altri.
Oggi aiuterò me stessa!
Sorrisi a quel progetto. Mi ci voleva un buon umore per iniziare una giornata al meglio.
Lo richiusi, rimisi tutto al suo posto e posai i piedi a terra, quindi mi decisi ad affrontare il giorno.
Stirai in su le braccia e soffocai uno sbadiglio, poi come uno zombie percorsi al buio il corridoio trascinando i piedi nelle ciabatte fino alla cucina.
Una luce accecante proveniente dal lampadario mi ferì lo sguardo non appena scorsi la finestra.
Quella era opera di Celine, mi dissi. Era sempre la prima di noi due ad alzarsi...
Le imposte erano già tutte spalancate e il silenzio delle prime luci dell'alba che si scorgevano fuori mi investì come faceva sempre.
Il buio velocemente si accendeva celando altrove i suoi segreti della notte appena trascorsa.
Il bagliore soffuso del primo sole rendeva ancora diverso e inatteso quel panorama. Quei tetti rossi-bordeaux... quei palazzi che ormai conoscevo a memoria... ogni cosa si destava ed io ero lo spettatore di quella routine.
Come se qualcuno avesse tolto un tulle dai miei occhi, un velo che non sapevo di avere per permettermi di rivedere.
Firenze si stava lentamente svegliando, spegnendo ad una ad una le luci nelle case. A ridosso dei primi rilievi collinari, circondata dalle incantevoli colline argillose, dividendo il corso dell'Arno a metà come faceva da sempre.
Nel mezzo si stagliava maestosa la cattedrale di Santa Maria del Fiore dominando l'orizzonte, con l'imponente cupola del Brunelleschi, la più grande mai costruita al mondo. Il duomo della città, la principale chiesa fiorentina, simbolo tra i più famosi d'Italia e orgoglio indiscusso di ogni abitante.
Guardavo al di là del vetro rapita da quella splendida malinconia con un tiepido sorriso ancora sulle labbra. Da quel colore viola delicato che a poco a poco si sbiadiva, quasi diluendosi.
Era quello il sentimento che sperimentavo ogni volta che stavo alla finestra a guardare quello spettacolo: la malinconia per qualcosa che pareva lontano, irraggiungibile.
Era quel sentimento di mancanza parallelo alla voglia di agire che provavo dentro di me. Che ampliava i confini della coscienza di ciò che ero per diventare quella sensazione ardente lasciata a metà; quel senso di impotenza e di inadeguatezza, di non credermi mai abbastanza, di sentirmi insicura e di cui non riuscivo a fare a meno.
Una sorta di tristezza in fondo al cuore, a volte addirittura inconsapevole, come il desiderio di un non so che, ma di cui sentivo comunque la mancanza.
Avevo bisogno di sentirmi viva di nuovo, era questa la realtà, di combattere e vincere le mie paure... di tornare a credere fermamente nel futuro. In fondo era questo che consigliavo sempre, perché non riuscivo a farlo io?
Nient'altro ha importanza, dobbiamo sempre credere in chi siamo... la vita è nostra e dobbiamo viverla a modo nostro, ma dobbiamo viverla al meglio... non badare a quello che fanno gli altri o a quello che dicono di sapere... quello che importa sei tu... e nient'altro... era questo che sostenevo ogni giorno, ma non ero in grado di metterlo in pratica nella mia vita..
Il mio sorriso si affievolì nonostante tutto.
Avevo un cuore di vetro ormai. Era facile farlo a pezzi, ammisi triste.
Riuscivo a vincere tutto questo, solo quando sentivo di aver fatto qualcosa di buono per quei ragazzi... ma non ero in grado di farlo per me stessa. Era vero.
Ero un caso perso...
Quel gelo fuori si insinuò anche in me e mi fece stringere nelle braccia.
Emisi un respiro profondo e mi avvicinai al tavolo, prendendo il cardigan color crema dalla spalliera della sedia dove lo avevo appoggiato la sera prima, indossandolo.
Basta, non dovevo più pensarci. Il mio progetto per quel giorno era sorridere!
I muri della casa erano freddi di prima mattina così come l'aria che si respirava.
Del resto erano ancora i primi di marzo, non eravamo ancora usciti del tutto dall'inverno.
Aprii il frigo e sbirciai dentro.
La luce si accese immediatamente svelando l'interno.
Uova... latte... mozzarelle... no quelle non servivano così come le uova...
Presi la bottiglia del latte e lo versai in una tazza, lo scaldai al microonde, quindi riempii la scodella di cereali e mi sedetti di spalle alla porta poggiando un gomito sul tavolo a reggermi la testa ancora intorpidita, quasi non fossi in grado di farlo senza.
Soffiai fuori l'aria dal naso guardando nel vuoto e girai distrattamente il cucchiaio nella tazza.
Il bianco a poco a poco diventò marrone di cioccolato.
Cavoli, che sonno... mi ridissi...
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Ancora tu...
Literatura KobiecaPuò l'amore curare ogni cosa? Un cuore malato e ribelle come quello di Omar, o uno triste, provato dalla vita e rassegnnato come quellp di Bianca? La rabbia di Omar e il rimorso per una madre che non c'è più lo porta a combattere in incontri illega...