7. Ava

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Dunque, faceva caldo, era bel tempo.

Tutto in ordine, tranne la mia testa.

(Kafka)

Micah ha appena assistito al mio crollo.

Sono proprio caduta a pezzi fra le sue braccia forti e mi ha tenuta assieme. Ora che mi sono calmata non so cosa devo dire. Non so quello che devo fare.

So solo che rimaniamo abbracciati anche dopo che le mie lacrime si sono asciugate.

<<Scusa>>, sussurro contro il suo collo. Ho la voce arrochita dal pianto.

Mi accarezza i capelli dolcemente. <<Non c'è problema. Sai, ho una sorella. Sono stato presente a tutte le sue sfuriate. Non mi fanno paura le crisi>>, tenta di sdrammatizzare.

<<Parlami di lei>>, chiedo. Ho bisogno di distrarmi.

Ridacchia. <<E' insopportabile>>, dice strappandomi un sorriso. <<Si è trasferita da poco a Chicago. Studiava anche lei qui fino all'anno scorso. Si è fidanzata con Damon, il mio migliore amico. È talmente testarda che a volte vorrei sbatterle la testa da qualche parte, ma ha un cuore grande>>.

<<E' più grande di te?>>, chiedo.

<<Sì>>, conferma. <<Abbiamo un anno di differenza. E tu? Hai fratelli o sorelle?>>.

Mi stacco dall'abbraccio. Non riesco a guardarlo negli occhi. Sono troppo imbarazzata. <<No, sono figlia unica>>.

<<Oh, beh, a volte forse ti invidio>>, scherza.

Sorrido. Un piccolo, minuscolo sorriso. <<Immagino>>.

Se Micah è qui, vuol dire che mi ha sentita cantare. Merda. Non doveva succedere. Appena ho visto il pianoforte dentro a questa aula, mi sono tuffata dentro. Ho iniziato a suonare, fregandomene di tutto. Cantare è la mia via di fuga e allo stesso tempo ciò che mi lega di più a Rowan.

Rachel ha chiamato anche questa mattina. Dovrei tornare a Los Angeles per un paio di giorni, ma non posso farlo ancora. Ed è la cosa che mi spezza di più. Non posso stare al fianco di Rowan.

Micah guarda l'ora nel telefono. <<Ho perso la lezione>>, dice con tutta calma. Si siede per terra e si mette comodo.

<<Mi dispiace. Forse dovresti andare?>>.

Solleva una spalla. <<Nah, non fa niente. È la prima lezione del corso. Non prendono nemmeno le presenze>>.

<<Se lo dici tu>>.

Indica con un gesto del mento il pianoforte. <<Ti ho sentita cantare. Mi hai fatto venire i brividi. Sei davvero brava>>.

Arrossisco. Me lo hanno detto molto spesso, eppure fatto da lui ha tutto un altro significato. <<Grazie>>.

<<Suoni da tanto?>>, chiede. Non è curioso, ma davvero interessato a conoscermi. Questo l'ho capito già dalla serata al Red.

Micah mi piace. È un bravo ragazzo ma non posso dargli ciò che cerca.

<<Da quando ho tre anni. Mi ha insegnato mia madre>>.

Sorride, perso nei suoi ricordi. <<Io la prima volta che ho preso fra le mani una palla da football ne avevo due e mezzo. Non riuscivo neppure a tenerla. Era più grande di me>>. Ridiamo e me lo immagino un piccolo Micah contento con la sua palla.

<<In che ruolo giochi?>>.

<<Sono il quarterback>>, dice con orgoglio.

Lo squadro, studiandolo. <<Sì, ti si addice>>.

Tamburella con le dita nel pezzo di panca libero. <<Sai, potresti venire a vedere una partita. Non posso garantirti che andrà bene, ma ti divertiresti>>.

<<Perchè no? Tanto non ho di meglio da fare>>. Vedere Micah all'opera è troppo intrigante per rifiutare.

<<Nemmeno prendere a pugni quel povero pianoforte?>>, scherza.

Accenno un sorriso. <<No, nemmeno questo>>.

Si alza in piedi e mi allunga le mani. <<Forza, andiamo a prenderci un caffè, visto che abbiamo perso le nostre lezioni>>.

Nascondo il viso fra le mani. <<Conciata così?>>.

Mi leva le mani dal viso. <<Sei bellissima, Ava. Non devi nasconderti>>. Se solo sapessi, Micah.

<<Ok, andiamo>>, acconsento alla fine. Rimanere qui dentro a pensare a Rowan è una pessima idea. Non lo farà tornare indietro.

E gli ho promesso di vivere.

Micah mi accompagna alla caffetteria del campus. È vuota visto che tutti sono a lezione a quest'ora. È un sollievo. Non sopporto la confusione.

Oggi è una bella giornata e il sole splende in un cielo limpido, senza nuvole. Ci sediamo fuori e Micah mi pone altre domande. Non voglio raccontargli troppo della mia vita, ma parlare con lui mi risulta davvero facile.

<<Che cosa stai studiando?>>, chiede sorseggiando il suo caffè nero senza zucchero.

<<Letteratura, tu?>>

<<Economia>>.

Lo osservo. <<La tua famiglia vive qui vicino o anche tu sei uno studente in trasferta?>>.

<<Nato e cresciuto in un paesino qui vicino. Vado spesso a trovare i miei genitori e loro vengono alle mie partite>>.

<<E' così bello>>. Io non vedo i miei genitori da un po'.

<<Già>>, conferma. <<Maddie e Ella sono le tue migliori amiche?>>.

Sorrido. <<In assoluto. Con Ella ci siamo conosciute all'asilo mentre con Maddie alle medie. Siamo inseparabili da allora. A volte penso che se non ci fossero loro con me impazzirei>>.

<<Sì, conosco la sensazione. Quest'anno mi hanno lasciato tutti. Convivevo con altri tre ragazzi e mia sorella in una casa fuori dal campus. A maggio se ne sono andati e la casa ora sembra vuota>>.

<<E Noah?>>.

Sbuffa. <<E' un buon coinquilino e un amico, ma non ci vediamo mai. Fra i miei e i suoi allenamenti, non riusciamo a beccarci molto. Ho i miei compagni, certo, ma non è la stessa cosa>>.

Lo pungolo su un fianco. <<Quindi sei un tenerone eh?>>, lo prendo in giro.

Mette il broncio. <<No, per niente. Sono un tipo tosto>>.

Ridacchio. <<Tostissimo>>.

Scuote la testa divertito. <<Come mai hai deciso di trasferirti così lontano?>>.

Mi gelo sul posto. Non posso parlargli di me. Non della me di prima. <<Perchè sì>>, rispondo vaga. Lascio una banconota sopra il tavolo e mi alzo. <<Grazie per prima. Ora devo scappare>>. Non gli do il tempo di dire nulla. Mi alzo e me ne vado.

QUALCUNO COME MEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora