42. Micah

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 I tre giorni a casa volano in un battito di ciglia. Il giorno del Ringraziamento, nonostante sia cominciato nel peggiore dei modi, poi si è concluso pieno di risate in famiglia. Quella notte ho dormito sul divano, mentre Ava nel mio letto.

Non la sto evitando. Semplicemente sto cercando di fare chiarezza nella mia testa con tutte le poche informazioni che ho. Ava mi deve un bel po' di spiegazioni.

Non può semplicemente dirmi che sta cercando di proteggermi e poi rinviare la conversazione in sospeso. È una cosa che non sopporto: essere lasciato in bilico a domandarmi cosa di preciso mi nasconde.

Nella mia testa ci sono più punti interrogativi che risposte. Gli scenari che mi sto immaginando sono tanti e non so quale sia giusto. O cosa sia peggio pensare.

Già il semplice fatto che mi piace una ragazza a cui è appena morto il fidanzato, fa una paura del diavolo. E se c'è di peggio, dovrò lasciar perdere Ava. Anche se non voglio. Visto che finire giù in quel dirupo è stata una mossa intenzionale di una persona che conosceva, chissà cosa l'ha spinto a farlo.

Non so darmi una risposta.

Stiamo rientrando al campus e il sole sta tramontando all'orizzonte. Siamo sulla super strada e ci sono poche macchina in giro. Sembriamo soli. Ava guarda fuori dal finestrino assorta nei suoi pensieri. Non ci siamo detti molto da quando siamo partiti. Abbiamo salutato la mia famiglia dopo pranzo e ci siamo messi in viaggio.

Damon e mia sorella sono partiti questa mattina all'alba con il primo volo della giornata. Damon ha una partita da giocare e doveva tornare dalla sua squadra. Nonostante mi sia abituato a non vivere più con loro, riaverlo sotto lo stesso tetto è stato bello.

Avevo bisogno di un amico e Damon è sempre stato presente per me. Parlare con lui è stato d'aiuto. Di solito non sono un gran chiacchierone. Tendo a tenermi tutto dentro fino a quando non esplodo.

<<Hai fame?>>, le chiedo una volta nei pressi del campus. Nonostante tutto non sono ancora pronto a salutarla.

Annuisce. <<Sì un po'>>.

<<Ti vanno gli avanzi del tacchino a casa mia?>>.

<<Va bene. Quel tacchino era spaziale. Tua madre è una cuoca eccezionale>>.

Sorrido, orgoglioso. <<Già, la migliore. Sono stati felici di conoscerti>>.

<<Anche io. Hai dei genitori straordinari. Non mi stupisce che tu sia venuto su così bene>>.

Rido. <<Era un complimento?>>, domando contento.

Mi tira uno schiaffetto sul braccio divertita. <<Forse>>.

Parcheggio nel vialetto di casa mia. È immersa nell'oscurità. Noah non tornerà prima della prossima settimana. Mi farà bene un po' di tranquillità e di solitudine, anche se non sono abituato.

Ava mi segue dentro casa mentre accendo tutte le luci. È un po' freddo e lei si stringe nel cappotto. Salgo velocemente al piano di sopra e quando torno, le metto fra le mani una delle mie felpe.

<<Tieni. Dovrebbe volerci poco prima che il riscaldamento scaldi questo posto>>.

La prende. <<Grazie>>. Si sfila il cappotto e indossa la mia felpa. Dentro di me, con questa vista si scatena qualcosa. Vederla con i miei vestiti mi fa sentire possessivo nei suoi confronti. È qualcosa di nuovo, che non ho mai provato prima. Vorrei solo fosse meno complicato.

Scaldiamo la cena al microonde e ci sediamo nel divano a mangiare, con i piatti in mano. La tv è accesa in sottofondo ma nessuno dei due ci presta troppa attenzione. C'è una strana tensione fra di noi che non c'è mai stata prima.

<<E' buono anche il giorno dopo>>, commenta.

<<Sì, è vero. Di solito non torno mai a casa così presto. Mi fermo sempre una settimana e mia madre mi riempie di cibo fino a farmi scoppiare>>.

<<Mia madre invece è una cuoca pessima. Di solito cucina mio padre o comprano in qualche ristorante>>.

<<E tu? Cucini?>>, chiedo.

Annuisce. <<Sì, ho imparato vivendo da sola. O morivo di fame o mangiavo schifezze tutti i giorni. Non mi sembrava il caso>>.

<<Allora aspetto una cena cucinata da te>>.

<<Affare fatto. Solo non aspettarti chissà cosa>>.

Spazzoliamo il tacchino in poco tempo e quando appoggiamo i piatti vuoti sul tavolino, Ava si alza in piedi e raggiunge la sua borsa abbandonata all'ingresso. Per un momento penso che se ne stia andando, poi estrae un foglio e torna sul divano. Sospiro di sollievo e non so nemmeno perché.

<<Prima di dirti alcune cose, ho bisogno che tu firmi questo>>.

Aggrotto le sopracciglia. <<Che cos'è?>>. Ok, cosa sta succedendo?

<<Un accordo di riservatezza>>.

Scatto in piedi talmente veloce che mi si annebbia la vista. <<E a cosa cazzo servirebbe? Non ti fidi di me a tal punto?>>.

Abbassa la testa. <<Non posso permettermi passi falsi, Micah. Mi dispiace. Se vuoi sentire che cosa devo dirti, prima dovrai firmare>>.

<<Col cazzo. Te lo scordi, Ava. Non so chi sei e a questo punto forse nemmeno mi importa. Se per conoscerti davvero devo firmare quel cazzo di foglio, allora meglio finirla qui>>. La lascio lì immobile sul divano e scappo al piano di sopra, nella mia camera.

Sono davvero incazzato con lei.

Minuti o ore dopo non ne ho idea, la porta al piano di sotto si chiude e so che se ne è andata. Non so se mi faccia più male il fatto che non si fidi di me o che sia necessaria una firma per conoscerla davvero.

So solo che non è qualcosa di normale questa.

Mi cambio rapidamente e afferro dalla sedia la mia borsa per la palestra. Sono talmente arrabbiato che sento il bisogno di scaricare tutta questa tensione che sento dentro prima di esplodere.

Salgo in macchina e guido fino al centro di allenamento vicino allo stadio. A quest'ora della sera la palestra dovrebbe essere chiusa, ma noi giocatori abbiamo la tessera magnetica che la rende accessibile a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Un'ora dopo sono sudato e sfinito. La rabbia è ancora lì, sottopelle che ribolle. Quando ho incontrato Ava la prima volta non avrei mai pensato di ritrovarmi a questo punto. Cotto di lei ma con niente fra le mani.

Quando torno a casa, un bel po' di tempo dopo che sono rimasto disteso sulla panca piana a pensare a ciò che devo fare, trovo Ava seduta sui gradini di casa mia con ancora addosso la mia felpa. Niente cappotto.

Ha gli occhi arrossati, segno che ha pianto e le mani le tremano. Mi avvicino buttandomi la borsa da palestra sulla spalla. La rabbia che alla vista dei suoi occhi quasi sparisce.

Si alza in piedi. <<Possiamo parlare? Ho solo bisogno che tu mi ascolti e poi potrai mandarmi a quel paese se è ciò che vorrai>>.

Al contrario dei miei pensieri di un attimo prima, annuisco e la lascio entrare di nuovo in casa mia. Forse sto facendo una cazzata, ma non riesco a dirle di no.

Ava è la mia nuova debolezza.

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