18. Ossessione umida e dolce

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Roma profumava ancora di tarda estate

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Roma profumava ancora di tarda estate. Le giornate erano piacevolmente calde e le sere fresche, annunciate da tramonti rosso fuoco che Deva si era goduta dalle terrazze di bar e ristoranti che affacciavano sull'imperitura bellezza della capitale. Mentre girava per le strade di Roma su uno scooter, abbracciata ad Augusto, pensava a Theo. Pensava all'ossessione umida e dolce che aveva per lui. Umida come le sue mutandine ogni volta che il ricordo delle dita di Theo dentro di lei le invadeva la mente, dolce come la bocca di Theo, come la sua lingua che la riempiva.

Voglio che sia il ricordo delle mie dita dentro di te che conserverai nella testa per tutti questi giorni. E lei non aveva pensato ad altro. Quello che stava succedendo tra loro era sbagliato, Deva si aggrappava al loro patto per giustificare dei sentimenti che andavano ben oltre l'attrazione fisica. I segnali c'erano tutti, il pensiero ossessivo, la voglia di stare sempre con lui, il desiderio di sentire anche solo per un istante lo sguardo di Theo su di sé. Stava imboccando una strada senza ritorno e lei doveva fermarsi immediatamente. Non poteva farlo accadere, non poteva innamorarsi di Theo Hernandez. Era il suo procuratore. Non si mischiava il lavoro con la vita privata, mai.

Eppure non riusciva a controllare il rossore alle guance e la sensazione di benessere ogni volta che riceveva un suo messaggio. Theo le scriveva tutti i giorni, messaggi semplici, "che fai", "come stai", "ti penso", e poi concludeva ricordandole quanti giorni mancavano al loro appuntamento. Ogni giorno di meno, ma sempre troppi. Deva cominciava ad essere impaziente.

Ritornata a Milano, la notte, quando era sola nel letto e pensava a lui, avrebbe voluto chiamarlo. Per riempire la parte fredda del letto. Per riempire lei. Stringeva le lenzuola tra le dita e pensava a quanto sarebbe stato inopportuno avere una relazione con un suo assistito, cosa avrebbero pensato i suoi colleghi, cosa le avrebbe detto suo padre se fosse stato ancora lì. Solo così riusciva a calmare l'ossessione che ribolliva nelle vene.

La sera della partita era agitata. Non vedeva Theo da una settimana e non sapeva cosa aspettarsi. Aveva paura di non ritrovare in lui lo stesso desiderio per lei. Temeva che fosse uscito con altre ragazze e che il suo interesse si fosse spostato altrove. Ora che l'aveva "conquistata", ora che aveva visto che lei ci stava, magari non trovava più nulla di interessante in lei.

Prese posto in tribuna. Quella sera era sola, Gianfederico, che di solito era sempre presente a San Siro, era partito per Londra per affari. Le sarebbe bastato un solo sguardo a Theo per capire come stavano le cose.

«Ehilà.»

Deva si voltò a guardare la persona che si era seduta accanto a lei con un misto di fastidio e nervoso. «Che ci fai qui?»

Luigi sorrise, aggiustandosi il cappotto. «Dopo devo vedermi con un giocatore, mi vuole affidare la sua procura. Io lavoro, mica come te. Il grande capo ti ha spedito a Roma a visionare i bambini delle favelas.» Rise in maniera sgradevole. «Tanto ormai sei una babysitter esperta. Come va con Hernandez?»

Indelebile [Theo Hernandez]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora