39. Perdutamente

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Era una di quelle serate fredde e malinconiche, Milano deserta, il vento che soffiava sulle strade illuminate di bianco

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Era una di quelle serate fredde e malinconiche, Milano deserta, il vento che soffiava sulle strade illuminate di bianco. Deva, con le mani infilate nel giubbotto pesante e il cappuccio tirato su, uscì dal portone del suo palazzo e si incamminò lungo la stradina che tagliava il grande parco che si allargava davanti a lei. Al buio sembrava una palude dalla quale spuntava qualche ramo spoglio e rinsecchito.

Indossava ancora il tubino del giorno; una volta tornata a casa non aveva fatto in tempo a cambiarsi. Aveva ricevuto una telefonata da parte di un dirigente del Monza che le aveva chiesto di incontrarsi subito dopo cena. Non aveva potuto dire di no, poiché stava cercando già da tempo di fargli comprare un suo giocatore, un ragazzo che era stato mandato in prestito all'estero dall'Inter e che adesso voleva tornare a casa. Il calciomercato invernale si era concluso da qualche giorno, ma Deva contava di strappargli un accordo per giugno. Così gli aveva dato appuntamento in un bar vicino, a un isolato di distanza dal suo appartamento, e ora, dopo aver mangiato in fretta qualcosa, si stava dirigendo lì.

Il bar era elegante, luci soffuse, musica bassa, pareti scure, tavolini di legno e sedute in stoffa vellutata, anch'essa scura. Era quasi deserto. Deva si avvicinò al bancone e chiese se potesse occupare un tavolo o se stessero per chiudere. Il ragazzo dietro al bancone annuì e le chiese se volesse qualcosa da bere. Deva rispose che stava aspettando una persona e aggiunse che, quando sarebbe arrivata, voleva che il barman preparasse dei cocktail belli forti per ammorbidirla. Il ragazzo rise. Era carino, e le aveva rivolto un paio di occhiate che l'avevano fatta pensare a Theo, al modo in cui lui la guardava prima che tutto finisse. Era durata talmente poco tra loro che Deva si chiedeva se non fosse tutto un mero frutto della sua fantasia, soprattutto dopo gli ultimi eventi.

Il ragazzo appoggiò le mani al piano di marmo scuro, mettendo in mostra due bei bicipiti scolpiti. Si sporse leggermente in avanti. «Devi fare colpo su qualcuno?» le chiese, inarcando un sopracciglio. «Non hai bisogno dell'alcol.»

Deva accettò quel complimento con un sorriso. «Si tratta di un appuntamento di lavoro. Sto cercando di raggiungere un accordo.»

«Che lavoro fai?»

«L'agente sportivo.»

«Wow. Che giocatori segui?»

«Beh...» stava per dire Theo Hernandez, ma dovette fermarsi. Si rabbuiò e le si formò un nodo in gola. Quella mattina aveva parlato con Gianfederico e aveva sistemato la questione, così Theo non sarebbe più stato costretto a vederla. Si schiarì la gola e alzò gli occhi sul ragazzo. «Rafa Leao, Daniel Maldini...» fece il nome di altri giocatori di altre squadre.

Il ragazzo sembrò colpito. «Deve essere un bel lavoro.»

Deva annuì. A dispetto di tutto, amava tanto il suo lavoro. Anche in quel momento, dopo una lunga ed estenuante giornata, sentiva una certa impazienza, non vedeva l'ora di parlare del suo giocatore, di illustrare le sue capacità e negoziare un accordo. In quell'istante entrò Fabio Pellegrino, dirigente del Monza, un uomo sulla sessantina dai capelli quasi completamente bianchi, un paio di occhiali da vista rettangolari senza montatura che ingrandivano due occhietti svegli.

Indelebile [Theo Hernandez]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora