23. Doppio giallo

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Il rumore dei tacchetti rimbombava nello spogliatoio vuoto, accrescendo il nervosismo di Theo

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Il rumore dei tacchetti rimbombava nello spogliatoio vuoto, accrescendo il nervosismo di Theo. Si sfilò la maglietta sudata e la gettò in un angolo, si sedette sulla panca, passandosi le mani sulla testa e poi stringendole al bordo.

Era appena stato espulso, per somma di ammonizioni, per un fallo inesistente. Aveva perso la testa, aveva urlato in faccia all'arbitro che non capiva un cazzo e se ne era andato dritto negli spogliatoi. Aveva giocato nervoso tutta la partita, non aveva dormito bene e aveva faticato a stare dietro agli avversari già dai primi minuti, ma l'arbitro non capiva un cazzo e il secondo giallo se lo era inventato. Theo fece schioccare la lingua sotto al palato e scosse la testa, nel silenzio dello spogliatoio. Le partite di mattina gli facevano proprio schifo.

Per fortuna mancavano pochi minuti alla fine della partita e la squadra era ampiamente in vantaggio, ma lui avrebbe saltato la prossima partita e, per quello che aveva detto all'arbitro, rischiava qualche giornata in più. Si infilò in doccia e poi si rivestì mentre tutti gli altri compagni piano piano rientravano.

Erano felici per la vittoria e anche lui partecipò alla gioia collettiva. D'altronde aveva sfornato l'assist che poi Olivier Giroud aveva trasformato in gol. C'era anche la sua firma su quella vittoria. Quando la palla era entrata in rete il suo primo pensiero, mentre correva ad abbracciare i compagni, era andato a Deva. Si era chiesto se lo stesse guardando. Allo stadio non c'era, ma giocavano in trasferta e se lo aspettava. Tuttavia, gli sarebbe piaciuto ricevere un suo messaggio e sapere che aveva guardato la partita.

Dalla sera della festa gli si era formato un nodo allo stomaco che non voleva andare via, lo accompagnava costantemente, lo rendeva nervoso. Più precisamente, dal momento in cui Deva gli aveva detto, con lo sguardo pieno di paura, che nessuno doveva sapere di loro. Come se si vergognasse di lui. Quelle parole avevano fatto male, tanto male. Più dei suoi continui no, più della sensazione che ogni volta bisognava pregarla per fare sesso con lei, come se gli stesse facendo un favore. Quando poi le piaceva, eccome se le piaceva.

Pranzò con la squadra fuori dallo stadio e rientrarono a Milano nel tardo pomeriggio. Theo si unì ad alcuni compagni che avrebbero passato la serata in un locale, cena e un po' di relax, niente di esagerato considerato l'impegno che la squadra aveva in Champions League durante la settimana, e quindi l'allenamento che li attendeva la mattina dopo.

Theo rideva e scherzava come sempre, faceva battute, ma c'era quel fastidio che non lo lasciava neanche un secondo, le parole di Deva gli martellavano in testa. Non aveva chiamato, non gli aveva scritto, neanche per fargli una ramanzina per aver rimediato il cartellino rosso. Probabilmente stava passando una bellissima domenica e lui non era neanche lontanamente nei suoi pensieri. Probabilmente era felice di esserselo tolto dalle scatole.

Subito dopo cena Theo decise di tornarsene a casa a riposare. Suo fratello Lucas giocava e lui voleva guardare almeno il secondo tempo. Dopo la partita lo avrebbe chiamato. Non era più andato alla festa, gli aveva scritto di aver avuto un litigio con la moglie, e Theo non lo aveva disturbato in quei giorni, ma aveva bisogno di parlare con lui. Si avvicinò al bancone del bar per salutare il proprietario del locale, suo amico, che stava chiacchierando con un paio di ragazze. Erano bellissime, vestitino corto, tacchi alti, due modelle con molta probabilità. L'amico gliele presentò e Theo salutò entrambe con due baci sulle guance. Gli fu offerto da bere e accettò, ma, dopo aver scambiato due chiacchiere con le ragazze, quelle se ne andarono al tavolo di un signore di mezza età che le aveva invitate a bere un calice di champagne. Theo rimase solo al bancone a finire il suo bicchiere di birra.

Indelebile [Theo Hernandez]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora