Theo scese dalla macchina e si infilò nella porticina grigio chiaro che divideva la sua casa dal garage sotterraneo. Salì i gradini con i muscoli leggermente indolenziti dall'allenamento. Quel giorno avevano lavorato di più in palestra con i pesi e poi lui si era trattenuto con alcuni compagni a provare le punizioni.
In casa le tende erano aperte e dalle vetrate la luce rossa del tramonto si spandeva per tutto il salotto. Tingeva i divani, i mobili, il tappeto. Theo si sfilò le scarpe e le lasciò abbandonate in mezzo al corridoio, tanto per movimentare quell'ordine statico che lo faceva sentire vuoto. Si gettò sul divano e rimase così, con la faccia rivolta al tramonto e gli occhi fissi su quel cielo che mutava colore e intensità ogni minuto che passava.
Stava aspettando Rico. Gli aveva scritto quella mattina dicendogli che sarebbe tornato in Italia nel tardo pomeriggio. Theo aveva proprio voglia di stare con l'amico, lui non gli avrebbe permesso di restare in casa a rimuginare, non gli avrebbe concesso neanche un attimo di tregua. Sarebbero andati in giro per tutta la notte, da un locale all'altro, avrebbero ballato in mezzo al casino e forse anche scopato. Theo aveva bisogno di una serata così.
Non si sentiva triste, non più. Si sentiva deluso e la delusione poteva essere anche più potente della malinconia. Ora era disilluso, sconfitto. Guardava indietro, a tutti i momenti trascorsi con Deva, e si rendeva conto di essere davvero uno stupido ragazzino. Lei non gli aveva mai dato speranze, era stato lui a essersi immaginato cose, ad aver creduto che i suoi desideri fossero anche quelli di Deva.
L'ultima volta che l'aveva vista era stata la mattina dopo il loro incontro nella sua camera d'hotel. Theo si era svegliato dopo mezzogiorno. Aveva gli occhi gonfi e arrossati, la bocca secca e un mal di testa da far spavento. Si era trascinato a fatica fuori dal letto. La stanza puzzava di alcol, di vino irrancidito. Avanzando a piedi nudi nella stanza si era ferito con qualcosa di appuntito e solo allora si era ricordato di aver frantumato la bottiglia di champagne sul pavimento di moquette. La doccia l'aveva fatta gelata, ma non era bastata a farlo riprendere. Non riusciva a tenere gli occhi aperti a lungo, fitte di dolore gli aggredivano le tempie. Aveva raccattato in fretta e furia la sua roba ed era sceso nella hall, per saldare il conto e pagare i danni. E lì l'aveva vista. Nella zona ristorante dell'albergo.
Deva indossava un tailleur scuro, viso truccato, capelli in ordine, espressione seria. Sedeva ad un tavolo rotondo, con Gianfederico e un altro uomo. Theo si era sfilato gli occhiali da sole ed era rimasto immobile, con gli occhi puntati su quel viso inflessibile che portava i segni di una notte insonne. Era bella anche così austera.
L'aveva vista, ma aveva fatto in modo che lei non lo vedesse. Si era soffermato a guardarla, nascosto dalla grossa pianta vicino all'ingresso del ristorante, ancora un'ultima volta, come un addio che non riusciva a darle. Lei si toccava di continuo i capelli, si sistemava sulla sedia, guardava Gianfederico e la persona di fronte a lei con l'aria distratta. Stava pensando a lui? Aveva mai realmente pensato a lui o sempre e solo a se stessa? Theo aveva infilato gli occhiali da sole e aveva lasciato l'hotel, fuori nell'aria umida e nebbiosa in quella particolare giornata in cui non aveva ancora smaltito la colossale sbronza della sera prima e tutto gli sembrava confuso e distante. Però il dolore all'altezza del petto lo avvertiva forte. Quello era fin troppo reale.
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Indelebile [Theo Hernandez]
FanfictionDeva ha sempre saputo che sarebbe diventata un procuratore sportivo ed ora, a trentatré anni, convive ogni giorno con le difficoltà che comporta essere donna e lavorare in un ambiente prettamente maschile. Ma ama quello che fa e, anche se non viene...