Capitolo 16

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Adam pov's
Accompagnai la morettina al Campus, era rimasta in silenzio guardando fuori dal finestrino. Quando fummo fuori al Campus, slacciò la cintura lentamente. Perché aveva così importanza quel disegno?

«Buonanotte» la sua voce risultò troppo tenera e quelle guance rosee erano tremendamente illegali.

Non risposi, la lasciai andare assicurandomi che fosse entrata. Lanciai il foglio sul sedile, andando verso casa. A quest'ora i ragazzi stavano ancora alla festa, si fermavano sempre a fumarsi qualche canna lungo la strada.

Quando accesi la luce trovai Penelope, la figlia di Michael il mio allenatore. Aveva una minigonna e potei giurarci che non indossava nemmeno le mutandine.

«Che ci fai qui?» lanciai il borsone sul divano

«Volevo farti i complimenti per l'incontro» si leccò le labbra rosse venendo verso di me. Le rubai le chiavi dalle mani buttandole sul tavolo.

Le sue mani si attaccarono come una piovra sui miei bicipiti. Afferrai quella coda, tirandole i capelli all'indietro, con una mano chiusi tutto il suo seno sinistro.

«Sei venuta per farti scopare Penelope?» mi leccai le labbra quando sentì i suoi capezzoli spingere sulla mia mano.

«Puoi prenderti quello che vuoi» boccheggiò quando le sfiorai il clitoride.

Con la mano la spinsi ai miei piedi, lei capì subito cosa dovesse fare e tirò fuori il mio membro. Lo portò alla bocca gran parte iniziando a leccare la mia lunghezza, la tenni ferma affondando tutto il cazzo dentro quella bocca. Tossì mentre le sue pupille sparirono per qualche secondo. Pompai velocemente, rivoli di saliva uscirono dalla sua bocca a causa di quell'intrusione.

La presi di scatto e finimmo sul divano a fare sesso, con lei sotto di me a novanta, mentre le scopavo il culo sodo. Le diedi colpi secchi facendole sobbalzare quella terza abbandonante che portava e che mi piaceva strizzare nelle mani.

«Non fermarti!» disse dimenandosi come un'ossessa. Alzò il bacino venendomi incontro, le diedi gli ultimi di colpi facendola venire. Mi alzai togliendo il preservativo, afferrai la sua bocca e la sua lingua riprese il lavoro di prima. Dopo qualche minuto, mi svuotai completamente. Una scopata post allenamento ci voleva e Penelope sapeva farci. Aveva delle curve magnifiche e un culo bello sodo. Ogni volta che terminavo un incontro, sfogavamo entrambi con il sesso ma era solo questo.

«Ti sono mancata?» si leccò le labbra togliendosi gli ultimi residui sulle labbra del mio sperma.

«Torna a casa che tuo padre ti cercherà» sbuffai entrando in doccia. Quando sentì la porta sbattere sapevo che fosse andata via, chiusi gli occhi lasciando che l'acqua lenisse le mie ferite interne.

Flashback
«Orfano sessantuno, un passo avanti» strillò la donna che dirigeva questo posto. Era una vecchia orrenda che indossava sempre lo stesso maglione per quattro o cinque giorni di fila. I capelli sempre legati in uno chignon laccato, probabilmente un giorno sarebbe diventata calva.

Feci un passo avanti, la sua bacchetta colpì le mie mani. Strinsi i denti trattenendo il dolore, mi guardò da cima a fondo e quando vidi la sua mano avvicinarsi al mio viso feci un passo indietro.

«Vai nella camera zero!» urlò adirata, le sue collaboratrici mi afferrarono sotto braccio portandomi in quella stanza odiata da tutti. Era buia e fredda, c'era solo un letto in ferro battuto e muffa ovunque. A stento trovavi un lenzuolo a coprirti dalle gelide notti che si passavano in queste quattro mura.

«Resterai qui finché non ti scuserai con la direttrice» furono le sue ultime parole prima di chiudere a chiave la stanza.
Mi accasciai a terra, stremato dalla fame. Non sapevo che ora fosse ma sicuramente non sarei uscita prima di domani mattina. Stretto dalle mie braccia e la testa china sulle ginocchia, diedi sfogo alla sofferenza di quelle giornate.

Domenica mattina era libertà, sarei andato alla collina. Dall'ultima volta che c'ero stato, era passato un mese. Quando entrai in cucina vidi i ragazzi spaparanzati sul divano, uno accanto all'altro, sicuramente erano tornati ubriachi marci. C'era una canna ormai spenta sul tavolino e una bottiglia di birra accanto.

Richiusi la porta alle mie spalle, quando misi in moto l'auto mi accorsi del disegno che era sul sedile. Lo presi guardandolo attentamente, era brava, nelle sue linee c'era una tecnica particolare. Con una matita e disegnando contro un muro era riuscita a fare questo, probabilmente in pochi minuti ed io fregandomene delle sue lamentele le avevo fregato il disegno, tenendolo per me.

"Mi serve per il concorso"

Cambiai il mio programma, arrivando fuori la villa dei miei. Quando mia madre mi vide, non credette ai suoi occhi. Venne verso di me, baciandomi la guancia.

«Come mai sei venuto?» chiese sorridendo, vidi il suo grembiule sporco di pomodoro, sicuramente stava preparando la lasagna.

«Devo chiedere una cosa a papà, è in casa?»

Annuì e proprio in quel momento uscì anche lui. L'ultima volta non era finita bene ma puntualmente mettevano una pietra sopra per la mamma. Era stranito del fatto che fossi lì ma era sempre composto anche negli unici abiti casual che si concedeva la domenica, quando non era preso dal lavoro.

«Figliolo, è successo qualcosa?» le sue rughe furono enfatizzate dalla sua espressione sbigottita.

«Ho bisogno di sapere del concorso di disegno» parlai senza giri di parole.

«Cosa vuoi sapere? È un concorso, si vincono duemila dollari e bisogna avere buona creatività per vincere» spiegò non capendo a cosa fosse dovuta la mia curiosità.

Era per un fattore economico il suo? O voleva semplicemente dimostrare di essere brava?

«Figliolo ho appena fatto il caffè, vieni dentro» mia mamma era una tra le persone più calme e dolci che abbia mai conosciuto.

«Devo scappare. Ho delle commissioni da fare» mi dileguai, perché in fondo era la cosa che mi riusciva di più con loro. Ogni volta cercavano di avere un contatto con me ma era tempo perso. Litigavo con mio padre e mia madre si dispiaceva di questo.

«Adam» mi richiamò mio padre

«Vedi di dare qualche esame, altrimenti perdi anche quest'anno» ecco che sul suo viso si stampò un'espressione dura.

Lo ignorai andando via, ogni volta mi parlava della scuola o del mio futuro. Non dovevo venirci! Guidai ad alta velocità fino a raggiungere quella collina che conteneva l'angelo più bello. Per seppellirlo qui chiedemmo tanti permessi e mio padre fu molto d'aiuto. Meritava di stare qui, un posto dove nessuno ci avrebbe messo piede. Mi sedetti accanto a lui, accendendo la mia solita Malboro rosso.

«Amico» sussurrai vedendo il suo volto su quella lapide, misi una sigaretta sulla lastra in marmo come se lui potesse fumarla. Come tutte le volte che l'abbiamo fatto e soprattutto quella sera prima di quell'incontro.

Restai lì per qualche ora, socchiudendo gli occhi e godendomi la pace che regnava in questo posto finché una goccia non ricadde sul mio naso, decidendo così di andare via promettendogli di ritornare presto.

*Spazio Autrice*💖
Mie lettrici e miei lettori come state?
È stata una settimana dura ma ritornerò a pubblicare regolarmente.
Ci sentiamo nel prossimo capitolo🌻
~Nanny

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