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Non so neanche descrivere quanto io odi la domenica.

E' una giornata talmente noiosa e priva di senso, che non riesco a non odiarla.

E in più il giorno dopo è lunedì, quindi è pure peggio.

Purtroppo oggi è quel giorno infernale della settimana, e spero solo che almeno posso starmene a casa, nel mio bel letto caldo ad oziare come una scansa fatiche.

Perciò decidono di mettere in atto il mio piano, iniziando da una sana skincare a letto.

Porto tutti i prodotti sul morbido materasso coperto interamente dal piumone rosa e munita di specchio e film, inizio l'operazione più rilassante che ci sia.

Spalmo la prima crema idratante, ma qualcuno non sembra molto d'accordo con la mia intenzione di "rilassarmi".

Quel qualcuno è proprio mia madre.

«Ti ho lasciata riposare fin troppo, bella addormentata. Alza le tue belle chiappe e preparati che è quasi mezzogiorno e noi dobbiamo pranzare fuori, come una normale famiglia alla domenica.» chi lo dice a mia madre che in realtà le famiglie normali la domenica si riposano e mangiano in casa la pasta preparata poco prima?

«Siamo solo noi, giusto?.» lei annuisce alla mia domanda mentre apre le tapparelle della mia finestra, spalancando anche le tende.

La luce che entra sembra divina.

«Chi altro dovrebbe esserci? comunque sbrigati a finire ciò che stai facendo. Ti voglio giù entro le dodici e mezza.» annuisco e lei esce definitivamente dalla mia camera.

E' un bene che con noi non ci saranno anche i King, sarebbe stato un suicidio.

Decido di indossare una minigonna beige e una camicia bianca che sbottono un po' e metto all'interno della gonna.

Accompagno il tutto con un capotto del medesimo colore della gonna e degli stivali lunghi bianchi.

Poi lego i lunghi capelli biondi in una coda alta e corro giù in salotto, dove so già che tutti mi stanno aspettando.

«Sono in anticipo di dieci minuti, non potete lamentarvi.» mio padre alza gli occhi al cielo, sorridendo l'attimo dopo.

«Sbrighiamoci.» mio fratello mi prende a braccetto.

Anche lui ha una camicia addosso, blu, abbinata ad un pantalone bianco.

«Sbaglio o quello che i miei occhi stanno vedendo è del bianco?.» lui annuisce.

«Non farmi pentire di questa scelta.» mi avverte, puntandomi contro l'indice della mano libera.

«Sia mai.» rido e subito dopo entriamo in macchina.

Siamo vestiti in modo elegante perché il ristorante in cui stiamo andando necessita uno stile del genere.

Ci va gente dell'alto rango di New York, e da quando questo accade, questo locale diventa ogni giorno più bello e formale.

L'unica cosa che mi disturba e il non poter parlare ad alta voce, dobbiamo per forza sussurrare o moderare i toni, cosa che in un fast food non facciamo, quelle rare volte in cui io e mio fratello ce lo concediamo.

Arriviamo e subito ci indicano il tavolo prenotato da mia madre qualche giorno fa.

E' quello all'aperto, fortunatamente, dove non si mette quasi nessuno perché questi posti sono quasi sempre riservati.

Ci sediamo e iniziamo ad ispezionare la marea di pietanze che il menù ci offre.

In queste situazioni quello che conta è il cibo, per me.

Kiss me harderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora