29.

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Flashback, Andrew:

So che sarò io a mettere un punto a tutto questo.

Perché se non lo faccio io, nessuno sarà disposto a prendersi la responsabilità di un'azione tanto importante.

«Andrew, voglio sapere cosa vuoi per il compleanno.» mi siedo accanto a mia madre, sul divano.

Erin dorme nella sua stanza, visto che nostro padre è fuori a sbrigare qualcuna delle sue brutte faccende.

«Cosa voglio? lo sai benissimo: che mandi via quell'essere che ancora ti ostini a tenere in casa.» mia madre sospira e si allontana da me, alzandosi.

Le si vedono ancora i lividi sulle braccia.

«Io non posso esaudire il tuo desiderio...significherebbe scegliere tra te e lui, e io non voglio.»

Scegliere?

«Quindi sei così acciecata dall'ossessione che hai per lui, da non saper scegliere i tuoi figli al posto suo?.» si tocca i capelli nervosamente, come se sentisse il bisogno di sfogare il suo nervosismo così.

«Quando sarai più grande capirai che l'amore ti fa fare cose assurde, e molto spesso anche sbagliate.»

sto per ribattere, ma la porta d'ingresso si apre, rivelando mio padre.

Tossisce senza sosta, e poggia la bottiglia vuota di birra sul tavolo, rischiando di romperla.

«Tesoro...vienimi a dare una mano.» guardo male mia madre che subito si precipita per aiutarlo.

La osservo.

Lei sospira quando lo guarda meglio in faccia, e passa la mano sotto il suo naso, dal quale spazza via la polvere bianca.

Drogato di merda.

Poi lui le afferra il polso e lo stritola, facendola sussultare.

«Non ci siamo capiti, non mi devi toccare in faccia.» le sue nocche diventano bianche dalla forza usata per stringerla.

Non posso vedere tutto questo.

Provo a salire in camera mia, ma lui mi richiama.

«Hey, ragazzino, vieni qui.» giro il viso verso la sua direzione e vedo mia madre annuire lentamente, chiedendomi di avvicinarmi.

«Non ho voglia di sfogarmi con tua madre. Chiama Erin e dille di andare nel mio ufficio.» un brivido di paura di crea nella mia schiena.

«No.» sentenzio, cercando di nascondere il tremore della mia voce.

«Prenditela con me, lascia perdere Erin.» lui stringe la mascella davanti alla mia insolenza.

«Sei un piccolo bastardo.» mi afferra dai capelli, e dopo aver allontanato mia madre con una spinta tutt'altro che delicata, mi trascina nel suo ufficio.

Mi piazzo davanti alla sua scrivania, lui prende la tazza che doveva servire per tenere le penne.

La rompe in tanti pezzi e prende quello più grande.

Si avvicina a me, e si piazza davanti alla mia schiena.

«Vuoi proteggere quella piagnucolona di tua sorella? eccoti accontentato.» inizia a farmi dei piccoli ma dolorosi tagli per tutta la schiena.

Stringo il labbro inferiore tra i denti, per non dargli la soddisfazione di sentirmi piangere.

«Non ti faccio male?.» non rispondo.

Kiss me harderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora