La potenza del silenzio

33 2 11
                                    

SHOT

Due giorni prima.

Cerco di mantenere il controllo, nonostante il respiro affannato e leggermente sconnesso.
Panico, non farti prendere dal panico.
Sono le uniche parole alla quale continuo a pensare mentre ascolto la pelle scottante intorpidita dalla bevanda ormai innocua.
Vorrei provare a rialzarmi ma ad ogni respiro sento il corpo come trafitto da miliardi di aghi affilati. Un dolore che puzza di ricordo e che la mia pelle conosce molto bene.
Non devo farmi prendere dal panico!
Chiudo gli occhi respiro piano e inizio lentamente a spogliarmi di questi abiti impregnati di dolore, che puzzano amari come il caffè e ricolmi di vergogna.

Concentro ogni mio movimento sincronizzato con il respiro nel cauto tentativo lento di staccare questo angusto tessuto, che come cucito addosso sembra causare ancora più dolore.
Mi ritrovo atea a pregare Dio della quale nemmeno credo possibile la sua esistenza; lo prego, scongiuro di non farmi crollare nel panico e non lasciarmi affogare nel mio imbarazzato silenzio cercando di andare oltre.
Oltre le regole mute e i giudiziosi sguardi scioccati e maliziosi regalati dai passanti incuriositi.
L'istinto mi spinge a cercare la via di fuga più ovvia, vorrei correre lontano, ma i miei piedi non ascoltano le mie preghiere e ascoltano il dolore.
Quindi tiro fuori il mio smartphone e digitare frettolosamente il suo numero.

Una roccia solida e indissolubile, una costante, l'unico ad essersi rivelato quella persona caparbia e protettiva, sempre pronto a sostenermi, l'unico a parte mio fratello per la quale abbia davvero mai pensato alla mia dignità prima di chiedere aiuto.
Drr drr
«Pronto?» La sua voce calma e cristallina, rivela la fine della sua corsetta mattutina e anche la grande probabilità e forse disponibilità di poter venire in mio soccorso.
«Ho bisogno... Portami al pronto soccorso...» Subito dopo queste poche parole il rumore della cornetta riagganciata
Ascolto sofferente la tonalità gracchiante della mia voce che fatica a uscire raschiando la gola dolorante, invasa dal sapore preponderante dell'ennesima umiliazione subìta.

E fu così che pochi minuti dopo, il rumore di pneumatici che stridono sull'asfalto obbligano il mio collo ad alzare la testa, o per lo meno per quel poco che possa provare ad obbligare il mio corpo a muoversi.
I miei occhi ripercorrono i fanali e la carrozzeria dal colore rosso fiammante di un pick-up accostato lungo il marciapiede a pochi passi da me.
Rumore di una portiera sbattuta e pochi passi verso di me.
Uno sguardo avvilito, l'ennesimo.
Oramai sono troppe le volte che quegli occhioni dolci color nocciola vengono attraversati da rabbia e senso di ingiustizia; quegli occhi che mi guardano con dolcezza accompagnati da labbra chiuse in una smorfia arrabbiata.
Gom scende avvicinandosi, senza dire una parola, furente.
Resto immobile accovacciata sul marciapiede semivestita e con lo sguardo basso cerco di dare un'immagine diversa di me, ma non posso prendere in giro nessuno, il dolore riflesso nei miei occhi urla al posto mio.
Conosco quello sguardo, non è minaccioso, deluso o arrabbiato, direi più rassegnato.
Si volta per qualche secondo per non mostrarmi quanto l'ennesima ingiustizia lo abbia turbato, ma è troppo tardi, mi sono tuffata nei suoi grandi sguardi più e più volte e so quanto prepotente sia la collera che sta prendendo il sopravvento nel vedermi di nuovo così.

Lui disarmato non può far altro che aiutarmi a salire in macchina, prendere una borsa dai sedili posteriori frugare al suo interno disordinatamente e dopodiché porgermi un asciugamano pulito. Senza pretese, non fa neanche una domanda mi accompagna soltanto, come ormai d'abitudine ha sempre fatto.
Mi conosce troppo bene; non esistono domande alla quale ora risponderei.

All'accettazione chiedo di essere visitata da una dottoressa in particolare, mi danno il codice giallo e mi dicono di attendere in sala d'attesa.
Aiko Funo è il suo nome.
Un'eccellente medico specializzato in emergenza e catastrofi spesso costretta a intervenire qui al Pronto soccorso.
Le sue origini Giapponesi rendono compatibile il suo sottile cinismo con il mio falso tentativo asociale.
Per questo motivo mi faccio visitare solo da lei, questa sua strana forma di rispetto che ha nei miei atteggiamenti scorretti, sono sintomi di discrezione e professionalità, nonostante io nasconda la verità tra le pieghe del mio orgoglio.

You - GUNSHOTDove le storie prendono vita. Scoprilo ora