7 - Uno stupido patto - ☂️

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(POV VICTOR)

19 novembre 1999

Schiena contro la colonna, mi godo lo scroscio della pioggia che cade sull'erba, senza toccarmi. Con la coda dell'occhio intercetto l'ombrello nero da becchino di Jonas, ancora immobile sul lato opposto del giardino. Pietra grigia, cielo grigio, i miei pantaloni grigi. Pare che qualcuno abbia cancellato i colori dall'inquadratura. Se non butto l'occhio sul prato sembrerebbe uno stupido film in bianco e nero. Uno di quelli che guarderebbero loro. Blake e Jonas.

«Vuoi continuare a fare lo stronzo ancora per molto?»

Alzo la testa: «Non faccio lo stronzo.»

«E che fai allora?» Jonas fa un paio di passi nella mia direzione. La pioggia imbalza sul nero del tessuto impermeabile che gli scherma il corpo.

«Studio. Hai mai provato?»

«E tu, l'hai mai letto un libro vero?»

Chiudo il testo di statistica preso in prestito dalla biblioteca. «La roba che leggi tu sarebbero i libri veri?»

Alza le spalle. «Dai muovi il culo, andiamo a mensa.»

«Ho mangiato.»

«Ah si?» Me lo ritrovo davanti, la pioggia fa un rumore infernale contro la plastica nera e lucida di quel cacchio di ombrello.

«Pollo e insalata.»

«Uno spasso.» Inclina la testa. «Facciamoci una vagonata di patatine fritte.»

«Non mangio quella roba.»

«La mangio io, tu devi solo alzare il culo e ricollocarlo su una sedia.»

Lo squadro. Un sorrisetto mi si affaccia in bocca. «Ricollocarlo? Non sarà una parola troppo difficile per te?»

«Nei libri che snobbi c'è un sacco di materiale interessante.» Chiude l'ombrello, grazie a Dio e si infila sotto al portico. «Dai, andiamo.»

«Non voglio vederla.»

La pioggia viene giù così forte che quasi copre le nostre voci.

«È Blake, non puoi evitarla per sempre.»

«Ci sto riuscendo perfettamente, invece.»

«Non ci sediamo con lei, però adesso piantala di fare lo stronzo e vieni dentro.»

Mi sfianca. Insiste così tanto da stremarmi. Mi alzo, perché l'alternativa sarebbe stare qui con lui e continuare a sentire la sua voce. Camminiamo sotto il colonnato. Jonas apre il portone di legno e lo tiene per me, ci infiliamo per i corridoi. Il tepore del riscaldamento mi arriva addosso, le mani si arrossano in fretta. Sbottono la giacca, sistemo le pieghe dei pantaloni. Giù in fondo c'è la porta a vetri, il vociare degli studenti si sente da qui. Spalanchiamo le ante ed entriamo. Spediti in fondo alla sala, ci sistemiamo al tavolo vicino alla finestra, l'unico vuoto. È il nostro, e nessuno ha il coraggio di occuparlo. Jonas lascia la sua roba sulla sedia, mi fa un cenno con la testa e si allontana. Dai tavoli vicini mi arrivano occhiate. Mi chiedo se Trevor Bennet abbia aperto quella bocca larga che si ritrova.

Victor scrive poesie. Vorrei spaccare il tavolo a pugni. Come le è venuto in mente? Eccola, Blake. Bacia Jonas sulle guance e lui le dice qualcosa, allora lei si volta e mi vede. Giro la testa, guardo fuori. Mi concentro sul temporale, sugli alberi piegati dal vento, i fili d'erba che annegano nelle pozzanghere.

Come ti è venuto in mente, Blake?

Jonas ritorna, mi parcheggia davanti un piatto stracolmo di amidi fritti e grondanti. L'odore di olio scadente mi si arrampica addosso.

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