33 - Come bere un bicchier d'acqua -

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Se ne sono andati tutti a casa per il pranzo di Natale e dietro di loro è rimasto un silenzio che riesco solo a benedire. Mi aggiro tra gli scaffali, cerco qualcosa da leggere che non sappia di vecchio, ma tutti questi libri emanano un'aura che sa di passato remoto, polvere e un linguaggio aulico che non si addice per niente a noi tre, a quello che stiamo facendo.

A ciò che stiamo diventando.

Il legno scricchiola sotto i piedi, ogni passo si amplifica nell'assenza di rumore. Le luci soffuse gettano ombre danzanti sulle copertine. Victor se ne sta in poltrona a fissare il niente con le gambe incrociate e le mani abbandonate sui braccioli.

Le sue mani... Deglutisco e mi sembra di averle ancora addosso.

Vorrei chiedergli di Maggie, sapere cosa pensa, cosa prova, ma non lo faccio. C'è una parte di me che non vuole affrontare la realtà, che preferisce questo strano limbo di non detti e mezze verità, alla possibilità lontana e irreale che lui possa provare davvero qualcosa per lei.

Per qualcuna che non sono io.

Viene accanto a me, sfiora con le dita la costa di un libro. Il confine tra vecchio e antico è labile, ed è strano come il primo termine sia dispregiativo al contrario del secondo.

Gli occhi chiari di Vic seguono il movimento delle sue mani. Non abbiamo mai avuto bisogno di parlare troppo per capirci, ma ora, più i nostri corpi si avvicinano, meno mi sembra di conoscerlo. Il mio riflesso nei suoi occhi è quello di una Blake che non capisco, una Blake che cerca risposte in luoghi in cui non dovrebbero esserci domande.

Siamo noi, eppure non ci somigliamo più.

«È strano, vero?» rompo il silenzio e la mia voce sembra fuori posto.

«Già» non stacca lo sguardo dai libri. «Natale in una libreria deserta, a casa di Jonas. Chi l'avrebbe mai detto?» Si schiarisce la voce con un colpo di tosse. «Potevamo andare in montagna come facciamo ogni anno...»

Rimaniamo in silenzio per un po', le nostre parole fluttuano nell'aria come fiocchi di neve, destinate a sciogliersi. Oltre la finestra un manto bianco ricopre il verde dell'erba, il mondo pare ovattato e distante. Ogni cosa ha perso il suo colore, l'identità della materia di cui è formata. Statue e suolo, ora dormono sotto il lenzuolo dell'inverno.

«Ti manca la tua famiglia?» che domanda idiota gli ho fatto.

Victor scrolla le spalle. «Non particolarmente. E a te?»

Sorrido. «Non proprio.» Mi manchi tu, anche se sei qui.

Non oso dire niente di quello che penso, e da come mi guarda, dal tono della sua voce, penso che anche le sue verità stiano morendo annegate nell'esofago.

«A quest'ora tua madre e mia madre staranno prendendo il tè in uno chalet.» Provo ad alleggerire l'atmosfera.

Victor annuisce. «E mia madre le avrà detto che non c'è tè migliore di quello che beve a Londra.»

«E ha ragione» inclino la testa e incrocio i suoi occhi. «Ogni volta che andiamo in montagna in hotel ci rifilano quell'acqua sporca che sa di terra.»

Cammino tra gli scaffali, seguo le file di libri ordinati con cura. Ogni tanto, tiro fuori un volume e ne leggo il titolo, ogni volta finisco per rimettere il tomo al suo posto e sospiro.

«Stai bene?» mi arriva un sussurro appena udibile, forse tutta questa carta attenua le nostre voci.

Mi fermo e lo guardo. «Non lo so.»

Mi siedo sulla poltrona accanto alla finestra, tiro su le gambe e le abbraccio, cerco conforto in quel gesto che da bambina mi dava pace. Victor si siede accanto a me, le sue mani intrecciate, lo sguardo perso.

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