19 - Dentifricio e sapone - 🧼

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(POV Jonas)

Mi chiudo la porta alle spalle, lascio la rossa nella biblioteca di famiglia e mi appoggio allo stipite, il legno preme contro le vertebre, mi riallinea. Una specie di nausea mi si attacca al corpo, oscillo come se fossi in mare aperto, con i piedi su una zattera instabile. Quattro passi pesanti e sbilenchi e mi ritrovo nella mia stanza. Lenzuola sfatte e odore di solventi. Vorrei avere solo questo addosso, i colori a olio che macchiano i vestiti e restano sotto le unghie anche se provo a tirarli fuori a forza. Quel tipo di sporco, che non è sporco affatto, perché è traccia di qualcosa di magnifico. Creazione. Bellezza. Armonia.

Il sapore di Catherine in bocca, invece, vorrei solo estirparlo. Attraverso la stanza e mi infilo nel cesso, nello specchio quella roba viscida che mi ricopre le labbra risplende come il gloss sulla bocca delle ragazze. Sputo nel lavandino, risucchio lo schifo che mi è sceso in gola. Tossisco, una due tre e quattro volte, così forte che la gola mi brucia. La mano apre la manopola dell'acqua fredda, mi ripulisco le labbra, sciacquo via tutto. Gargarismi che durano millenni. Mi pare di sentire ancora la sua figa contrarsi sulla lingua, e quella cazzo di mano che mi ha piantato sul petto, i suoi polpastrelli fatti di ortiche. La gola vorrebbe contrarsi e deglutire la saliva che mi riempie la bocca, ma io non voglio mandare giù niente, è già troppo così. Mi ricopro di sapone le mani, una due, tre e quattro volte, poi le strofino tra loro, strofino la faccia e scompaio in una schiuma bianca che sa di mandorle amare. Mi bruciano gli occhi, mi manca il respiro, annaspo nei miei stessi movimenti. Acqua gelida sulle dita, me la getto in faccia, riemergo dal delirio di schiuma. Fame d'aria, spalanco la bocca e respiro, la schiuma mi è entrata nel naso e tutto odora di mandorla. Mi ritrovo a fissare due occhi iniettati di sangue che non smettono di lacrimare. Sono uno spettacolo orrendo.

Metà della scuola avrebbe scopato Cathe fino a farle dire basta, L'altra metà sono ragazze eterosessuali. E poi ci sono io, che ricopro di dentifricio lo spazzolino fino a far colare la pasta dalle setole bianche e mi sbrigo a strofinarmi i denti, prima che il colgate finisca spiaccicato sulla ceramica, come una volpe a bordo strada. Non c'è più niente di lei addosso a me. Sono pulito. Sputo nello scarico, un filo di saliva e sangue decora il bianco del lavabo. Lascio scorrere l'acqua e quella porta via tutto.

Grandi boccate d'aria e il cervello si rimette in sesto. L'ossigeno fa il giro nel corpo, rinfresca i pensieri. L'acqua è colata lungo il collo, ha superato la lana del maglione e ha inzuppato il cotone della maglietta. Odio quando succede. Mi sfilo entrambi gli indumenti, formano una specie di fagotto che lancio sul pavimento, torno nella mia stanza, fuori di qui c'è una festa e io vorrei soltanto stendermi sul letto e sparire nel sonno. Una stanchezza strana mi si muove dentro.

«Ci sei, joh?» Oltre la porta, la voce di Victor è poco più di un sussurro.

Un colpo delle nocche sul legno e la mia mano si allunga verso la maniglia, la abbassa, si crea uno spiraglio da cui la luce troppo calda del corridoio si insinua dentro, si insinua anche lui. Come un liquido. I suoi occhi mi scorrono addosso.

«Che c'è, sei rimasto ammaliato?» Gli indico il mio petto.

«Cretino.» Sorride a metà.

«Come mai da queste parti?» Mi strofino le braccia.

«Come mai mezzo nudo?» Si guarda intorno, come se cercasse qualcosa. Ah, no: sta cercando qualcuno.

«Tu scopi vestito?»

Gli occhi azzurri di Vic si spalancano, sono fissi nei miei e di nuovo in perlustrazione. «Lei dov'è?»

«Cathe? Credo sia tornata fuori.»

«Cathe?»

«La rossa psicopatica.»

«So chi è Catherine.» Victor si siede sul letto, manda indietro i capelli con le mani. «So bene anche chi è Maggie, purtroppo.» Si lascia cadere all'indietro sul letto, allunga una mano e raccoglie qualcosa, se la porta davanti alla faccia. «Perchè hai dei petali secchi sul tetto, è che cavolo c'è incollato sopra, un cerotto?»

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