4 - Cose che bruciano - 🔥

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(POV Victor)

15 novembre 1999

Tutti abbiamo dentro qualcosa che brucia. La gente li chiama sentimenti, io credo si tratti, invece, di una qualche reazione chimica. Sostanze che si scontrano nella testa. Elementi che si scambiano tra i corpi quando le dita di due persone si toccano. Gli sguardi si toccano. Il problema, l'incendio incontrollato, insorge quando la stessa sostanza si forma in due corpi che sono interessati a una terza forma di vita.

Jonas è sdraiato sull'erba del prato davanti all'ingresso della Primrose Hill, si porta la sigaretta alla bocca e aspira svogliato con le pupille incollate al tappeto grigio, che incombe e minaccia tempesta sulle nostre teste. Non piove da due giorni, il che ha del miracoloso. Sotto al portico, sull'altro lato del giardino, Elizabeth e Blake ci guardano. Parlano tra loro senza staccarci gli occhi di dosso. Ci studiano come si fa con le bestie selvatiche in natura. E forse sì, noi siamo delle bestie, ma questo posto non ha niente di naturale.

Una strana gerarchia governa la massa, la organizza in una piramide appuntita, dove chi sta in cima è senz'altro in vista, venerato dalle matricole alla base, eppure con la costante pressione di quella spina puntata nel culo. L'apice. Noi, io e Jonas, siamo l'apice. Chi sta con noi è all'apice. Gli altri sgomitano per arrivarci vicino. Sfiorarci. Prendersi un pezzo di fama. Scalare un gradino.

Elizabeth dà un bacio a Blake, sorride, si allontana con i libri in mano nel suo cappotto chiaro, si volta ci rivolge un'occhiata, gli rivolge un'occhiata. A lui, a Jonas. Adesso che lei se n'è andata, lui si sistema lo zaino sotto la testa e di gira. Guarda lei, Blake. Eccolo il fuoco. Mi si accende dentro quella fiamma infame che brucia i pensieri. Le mani fanno leva sull'erba, le dita premono contro la terra e mi alzo, mi allontano per raffreddare le sinapsi.

«Dove vai?»

«In classe.» Biascico.

«Non è ancora suonata.»

«Non mi piace ridurmi all'ultimo.»

«Che cazzata.»

Non gli rispondo. A lunghe falcate attraverso il cortile, raggiungo il portico, grigio come il cielo di Londra. Lei guarda lui e lui guarda lei. E no, non mi piace. La mia mano si infila sotto il braccio di Blake. La pelle nera del suo trench è tiepida, cammino tirandola dietro di me e lei non fa resistenza. Ci infiliamo nei corridoi, le voci di tutti risuonano e si accavallano, gli armadietti di legno scuro alla nostra sinistra. Mike tiene Lucas per il colletto della camicia e lo spinge contro gli sportelli di mogano. Il tonfo. Libri e quaderni che cadono a terra. Gli occhiali che scendono sul suo naso storto.

«Che coglione.» La voce sguscia via dalle labbra di Blake.

L'ameba testosteronica si volta e la fulmina. Ringhia tra i denti: «Che cazzo hai detto, puttana?»

Dio, perché l'hai fatto?

Blake si ferma, mi lascia il braccio e scoppia a ridergli in faccia. «Che sei un coglione. Sei pure sordo, coglione?»

Chiudo gli occhi. La mano preme contro la fronte e scende lungo l'arcata sopraccigliare, preme sullo zigomo. Scuoto la testa, mi mordo le labbra in attesa delle loro prossime mosse.

Mi guarda. Gli occhi neri spuntano da sotto le sopracciglia aggrottate. «Perché non ti porti via questa troia?»

Rido. Ride anche Blake. Poi gli si avvicina, troppo. Lucas ne approfitta, si abbassa e raccatta la sua roba, si aggiusta gli occhiali e sguscia lontano da noi. Intorno si forma un folto pubblico.

Non mi piace dare spettacolo e lei lo sa.

Si schiaccia contro di lui, la situazione è la stessa di prima, ma i protagonisti sono diversi.

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