26 - A essere onesti -

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(POV Blake)

Jonas mi prende la mano e la stringe. Un gesto semplice, ma carico di un'intensità che non avevo mai percepito nel suo tocco. Le sue dita si intrecciano alle mie e una scossa elettrica mi attraversa il corpo. Lo guardo, cerco di decifrare la luce nei suoi occhi, ma lui resta concentrato su Victor e non abbassa lo sguardo nemmeno per sbaglio.

Alla fine lui cede: estrae la chiave dalla tasca, la osserva per un attimo, poi la infila nella toppa, gira e con un clic deciso apre la porta, ci libera. Le mie pupille incrociano quelle di Vic e poi scorrono sull'espressione distrutta che aleggia sul volto distorto dall'alcol. Due passi e siamo oltre l'uscio. Il mondo fuori sembra più reale, le pareti si dilatano attorno al nostro corpo e l'aria torna appena siamo fuori dalla sua gabbia.

Jonas non dice una parola, mi trascina dietro di lui, la sua presa è ferma, ma gentile. Se facesse appena più forte mi farebbe male. Scendiamo le scale, a ogni passo gli sguardi dei nostri compagni di classe ci arrivano addosso. Ci osservano come se fossimo bestie rare, creature esotiche esposte alla fiera. I loro occhi si insinuano tra le nostre dita intrecciate, cercano di sciogliere l'enigma che siamo e che nemmeno io so risolvere.

Giù in fondo, tra tutti, c'è Cathe. La sua figura sembra quasi farsi più piccola mentre ci avviciniamo. Mi pare di sentirlo, anche da qui, il suono del suo cuore che va in frantumi. Un crepitio sottile, vetro che si incrina sotto una pressione insopportabile.

Tutto si fa stranamente ovattato. Le risate e la musica sono un sottofondo indistinto, un'eco che non riesce a penetrare la bolla di tensione che ci avvolge. Jonas mi guida oltre le scale, attraverso l'ingresso, con il passo sicuro e deciso, di chi sa esattamente dove andare. Io lo seguo con il cuore che batte all'impazzata.

Superiamo l'arco, un varco che separa due mondi. Mi volto indietro, le luci soffuse, le decorazioni natalizie sparpagliate in ogni angolo, l'albero che troneggia al centro del salone con le sue luci intermittenti, dettagli su cui non mi ero soffermata prima a cui ora mi aggrappo per restare a galla. Ogni passo sembra risuonare più forte del precedente.

Ci lasciamo alle spalle tutte quelle bocche che bisbigliano. Cathe è lì, tra la folla. Si guarda attorno, cerca qualcosa, qualsiasi cosa, per evitare di vedere noi. Le sue mani stringono il bicchiere, le nocche bianche per la forza che mette in quel gesto.

È strano quante informazioni riescono a infilarsi nello sguardo in un paio di secondi.

Il disgusto, la rabbia, la confusione, nei suoi lineamenti. Vorrebbe vomitare fuori la visione di noi due insieme, di noi che ci teniamo per mano.

Insieme. Io e Jonas. La realtà di quelle parole mi colpisce con la forza di una tempesta. Per un istante mi manca l'aria, il cuore accelera e un battito frenetico mi scuote. Mi aggrappo alla mano di Joh e lui si volta a guardarmi, i suoi occhi pieni di una tenerezza che mi lascia senza fiato. Sorride, un sorriso che vorrebbe trasmettermi una sicurezza che non riesco a trovare in me stessa.

Attraversiamo il corridoio di vetro, lo stesso che abbiamo percorso con Victor stamattina, e il giorno del suo compleanno. Camminiamo ancora, fino alla porta della stanza dove sono i miei vestiti, appesi e sistemati negli armadi assieme a quelli di Victor e qualcosa di me vorrebbe tirarsi indietro, lasciare la mano che sto stringendo e aspettare, oltre quella porta, che lui venga a letto. Addormentarmi abbracciata a lui, come faccio da tutta la vita.

Invece camminiamo ancora, superiamo altre porte, altre stanze, così fino all'ultima.

Ci ritroviamo davanti alla porta della sua camera. Jonas si ferma, la sua mano stringe ancora la mia. I suoi occhi mi cercano e sembrano chiedermi qualcosa, ma le parole gli restano sulle labbra. Non apre bocca.

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