1 - Happy birthday - 🎂

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(POV Victor)

12 novembre 1999

Ogni storia di perdizione comincia con un desiderio.

Io diventerò come voi.

Lo ripeto nella testa, perché il primo che ha bisogno di convincersene, sono proprio io.

Sulla torta ricoperta di panna bianca svettano diciannove candeline blu, sottili, con le fiammelle tutte uguali che ondeggiano e colorano ogni cosa d'oro non appena la luce nel salone si spegne. Sulle facce di tutti i chiaroscuri si accentuano. I miei amici somigliano a maschere grottesche. Stringo il bordo del tavolo, le dita scorrono sulla tovaglia immacolata, la mia pelle pare ricoperta d'oro.

Il ragazzo d'oro.

Un coro riempie lo spazio e si insinua nelle mie orecchie:

«Happy birthday to you

Happy birthday to you

Happy birthday, dear Victor

Happy birthday to you!»

Chiudo gli occhi un istante e inspiro a fondo. Lo ripeto: Io diventerò come voi. Soffio forte, le fiammelle tremano e si spengono tutte, tranne una, si affievolisce per riaccendersi subito. Dall'altro lato del tavolo le labbra sorridenti di Blake si trasformano in un piccolo cerchio, il suo fiato fa sparire la fiamma. Il buio è completo. Lei mi completa. Un applauso scrosciante nel nero assoluto e la luce ritorna. Tutti sorridono. Sorrido anch'io. Jonas attraversa la sala, il suo corpo si riflette in tutti gli specchi appesi alle pareti, i capelli castani ondeggiano sopra le spalle, mi viene incontro, mi tira per il colletto della t-shirt:

«Auguri, figlio di puttana!»

Mi stampa un bacio sulla guancia, il suo patchouli mi arriva addosso, assieme ai capelli sottili e spettinati. Ride. Labbra rosa e occhi quasi orientali.

«Da oggi sei il più vecchio figlio di puttana della nostra cazzo di classe.»

Jonas significa dono di Dio. Il suo dono più grande è la capacità di ficcare in una frase un numero indefinito di oscenità.

Io lo adoro. Non per il modo in cui parla, ma per come sa fregarsene. Lui se ne fotte. Quelli come lui possono.

Io no.

Mi lascio cadere su una sedia. Belive parte e la voce di Cher rimbalza sulle pareti. Blake la segue, fa ondeggiare i capelli tinti di nero, incrociamo gli sguardi. Si avvicina, mi tende la mano, la afferro e lei mi alza di peso.

«Balliamo!» Urla per sovrastare la musica.

Ci ritroviamo noi tre. Blake, Jonas e io. Tra la folla. I nostri compagni di classe che perderemo di vista appena metteremo piede al college. Noi lo sappiamo, e lo sanno anche loro. In fondo non ce ne importa. A nessuno di noi tre frega niente di quello che farà Sandra Collins tra sei mesi, né se la coppia del secolo formata da Emory ed Henry sopravvivrà fino al matrimonio. Noi siamo noi, e loro sono loro.

Eppure anche all'interno del nostro club esclusivo non esiste davvero un noi.

Io non ho i soldi di Jonas, né il talento di Blake.

Le labbra di lei si muovono e la sua voce stupenda mi riempie la testa. La sua voce è la cosa più preziosa al mondo, una specie di diamante impalpabile. Blake sa risuonare dentro e non serve alcuna abilità per rendersene conto. C'è qualcosa di magico che riesce a imprimere nelle parole. Il modo in cui le pronuncia e le trasforma in perle cangianti e piene di luce.

Balliamo finché Jonas non decide che basta, afferra una bottiglia dal tavolo e afferra anche noi:

«Qua dentro c'è un bordello, andiamocene fuori.»

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