29 - Postumi - 🧟

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(POV Jonas)

Ci ritroviamo in cucina, gente al confine tra incoscienza e realtà. La luce filtra timida attraverso le tende, un chiarore lattiginoso che rende tutto vago e irreale. Siamo una decina, ognuno con il proprio bagaglio di sbornia e la faccia segnata dal cuscino, o da qualunque cosa ci abbia tenuto la testa. Caffè, fumo di sigaretta e il vago retrogusto di vomito che impregna ogni angolo. Elizabeth, al centro della scena è una visione surreale con i suoi capelli raccolti in una coda alta, intenta a preparare la colazione come se si trattasse di un'ordinaria mattina di sole e non di un film di zombie finito a puttane.

«Come hai convinto tuo padre a lasciarti dormire qui?» mi esce una voce roca e più bassa del solito. Dovrei fumare meno.

Mi lancia un sorriso complice e versa della pastella su una padella calda, l'odore di Pancake si propaga presto nell'aria. «Ma io non sono qui, sono a un pigiama party di tre giorni con le amiche.» Lo dice con una tale naturalezza che quasi ci credo.

Annuisco, la sua abilità nel mentire è una dote perfezionata negli anni. Elizabeth sembra sempre avere tutto sotto controllo. Mi chiedo se ce l'abbia davvero, il controllo.

Trevor è vivo. Griderei al miracolo se non fosse per la puzza che si porta dietro. Trascina le sue ceneri in cucina e spera di risorgere grazie al caffè che la nostra nuova madre sta preparando. Ha l'aria di uno che ha visto cose che preferirebbe dimenticare, il fatto è che quella cosa suppongo sia proprio lui. I suoi occhi sono cerchiati di rosso e il viso è pallido come un lenzuolo. Si aggrappa al bancone come se la stabilità del mondo dipendesse da quel pezzo di marmo. «Che diavolo è successo ieri sera?» Si strofina la faccia con una mano sporca. E, no, non ci tengo a sapere di cosa.

«Sei crollato nella siepe,» Elizabeth non alza lo sguardo dalla padella. «Abbiamo dovuto rianimarti a schiaffi in faccia e trascinarti sul divano per evitare che crepassi di freddo.»

«O che le volpi ti azzannassero il culo.» Rido.

Ride anche lui, un suono rauco e storto. «Sono sempre il re delle feste, eh?»

Victor e Maggie se ne stanno in disparte, seduti sulla panca in fondo alla stanza, dietro al tavolo di legno scuro. Sembrano stranamente simili, e non perché hanno lo stesso incarnato e lo stesso colore degli occhi, o i capelli così identici. Sono i vestiti. Lei, che indossa i suoi cazzo di vestiti. Mi gratto la nuca, socchiudo gli occhi per metterli a fuoco. Victor ha uno sguardo cupo, che vaga per la stanza alla ricerca di qualcosa. Lei non dice una parola, fissa un punto a caso sul pavimento, il viso pallido e segnato da una stanchezza atroce.

«Caffè?» Cerco di riportarli sulla terra.

Lui annuisce, ma non sembra presente. Gli verso una tazza di caffè caldo e gliela passo.

«Grazie,» mormora e il suo sguardo continua a vagare.

«E tu l'hai preso il caffè, Joh?» La voce di Elizabeth mi fa trasalire, mi spedisce fuori dai loro cazzi. Lei mi osserva, inclina la testa e sorride. «Sembra che tu ne abbia bisogno.»

«Già,» farfuglio, prendo un'altra tazza e la riempio quasi fino all'orlo. Me la porto alle labbra. Amaro e forte, un pugno allo stomaco che mi aiuta a svegliarmi del tutto. «Tu come fai a essere così in forma?»

Beth ride, un suono cristallino che si diffonde nella cucina. «Segreto di famiglia.» Mi strizza l'occhio, poi torna a strapazzare uova e a versare latte. «Sai, cerco di non somigliare a mio padre.»

Che coglione che sono. Il padre beve come una spugna, è ovvio che non voglia somigliargli.

Mi lascio andare sulla sedia. Trevor si è seduto su uno sgabello, la testa tra le mani, si copre le orecchie come se ogni suono fosse uno spillo nei timpani. Victor e Maggie parlano a bassa voce, così bassa che non sento una parola. Lei sembra sul punto di crollare, e c'è qualcosa di strano nel modo in cui lui la guarda.

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