53 - Deserto bianco -

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(POV Blake)

Le porte si spalancano e mi portano dentro, sotto un soffitto illuminato da luci accecanti che ondeggiano lievi, sono in mezzo a una corrente gelida. Arrivano mani sul mio corpo, coperte da guanti di lattice, hanno la consistenza strana della gomma. Sembrano estremità aliene. Qualcuno mi chiama.

«Ragazzina?» le parole scivolano via, perse in tutto questo bianco. Non rispondo, non ce n'è bisogno. A che servirebbe? Vorrei solo chiudere gli occhi, ma non posso farlo, non ancora.

Una voce ferma dice «ipotermica,» un'altra parla di «sospetto abuso.»

Abuso.

È quello che mi è successo?

Perchè hanno dato un nome così lieve a una cosa così atroce?

I vocaboli si susseguono, arrivano, uno a uno, non riesco ad associare quei termini al mio corpo. È come se parlassero di qualcuno che non sono io, come se stessero descrivendo un'altra persona, lontana. Lontanissima.

«Violenza sessuale.» La voce della dottoressa esce calma, addestrata a quel tono morbido, come se bastasse a ridimensionare tutto.

A togliermi queste spine da dentro.

C'è una ragazza accanto a me, un'infermiera forse, mi guarda e mi parla. Passa la mano sulla mia fronte. Mi dice che andrà tutto bene. Le sue mani mi coprono con una coperta pesante, stringono i bordi sotto di me, mi parla come se mi conoscesse. Come se fossi la sua sorellina. Io non ho sorelle.

Dove sono mio padre e mia madre?

E Jonas?

Dov'è Victor?

La voce dice di non avere paura, cerca di strapparmi via quello che ho dentro, ma non ci riesce.

È paura? Non lo so...

E di Mike e Trevor, ho avuto paura? Credo fosse un'altra cosa.

Le parole della ragazza vestita di bianco si mescolano a quel vago odore di disinfettante e plastica, al rumore dei passi attutiti dei medici e degli infermieri che si muovono intorno a me.

Arriva un'altra persona, un uomo con una divisa diversa. Mi osserva, dall'alto, c'è un'ombra di esitazione nei suoi occhi. Non so chi sia, forse qualcuno mandato qui per capire cosa è successo.

Non c'è niente che voglia dire, niente che voglia ripetere. Sono sola in mezzo a questo deserto asettico, e sono sudicia. Avvolta in strati di coperte, mi arriva il peso delle loro domande ancora prima che le pronuncino.

Strati su strati, come se il freddo potesse dissolversi sotto questo peso di lana. Ma non si muove, resta lì, incastrato nelle ossa, aggrappato come una malattia. Altre mani, mi tastano le braccia, spingono su punti che bruciano. Un ago penetra la pelle, poi un altro. Una fitta di calore scorre lungo il braccio, un liquido che dalla sacca scende in un tubicino e che si infila nella mia carne. Nelle vene. Si mescola al sangue.

Si mescola.

Il loro sperma, nel mio corpo. Vorrei lavarmi. Levarmeli di dosso. Levarmeli da dentro. Riempirmi di disinfettante. Diventare un deserto bianco senza sangue e senza sesso.

Una stanza vuota.

Non voglio restare incinta. Incrocio gli occhi della ragazza e lo dico, a voce alta. Lo dico e lei sorride.

«Non succederà, stai tranquilla.» di nuovo si comporta da sorella. La sua mano sulla mia fronte. «Ti daremo una pillola.»

Non ce l'ho una sorella, non ho neanche un'amica. C'è Beth. No, non siamo amiche.

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