20 - lascia che io sia il cerotto - 🩹

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(POV Jonas)

Il giorno in cui ho raccolto la lettera, mi sono accorto dell'esistenza di Blake e Victor. Prima di allora erano soltanto due corpi, materia deambulante, spalle contro cui sbattere trascinando i libri tra una lezione e l'altra.

Dopo quel giorno gli avrei dato un nome diverso: ossessione.

Un'allitterazione in esse.

La triangolazione.

Il fiore. Il taglio. Il cerotto.

⏪ Rewind

07 febbraio 1995

«Allora ci uscirai?»

Beth mi parla di Greta e io non voglio ascoltarla.

«Non credo che mi piaccia.» Continuo a fissare il pavimento sotto al portico e parlo a bassa voce.

«No? Beh in effetti hai ragione: culo sodo, bionda, occhi verdi... è proprio un cesso a pedali.»

Sbuffo e Beth ride. «Dai, è un mese che passi i pomeriggi chiuso in camera tua.»

«Non sto chiuso in camera.»

«Ah no? Fai gite in giardino?» Mi dà un colpetto in testa. «Passi per la cucina?»

«Dipingo.» Farfuglio a mezza bocca.

«Non ti credo.» Mi prende il mento tra le dita e mi incolla gli occhi addosso.

Tiro fuori le mani dalle tasche e gliele mostro. Il ceruleo si è annidato sotto le unghie, la china mi macchia i polpastrelli. Il solvente mi ha seccato la pelle.

«Sì, tutto molto bello, ma ti serve un po' di vita sociale.»

Il problema della vita sociale ce l'ho davanti: due dell'ultimo anno che ci danno dentro spalmati contro la colonna a un passo dall'ingresso. Le mani di lui che scorrono sulle cosce di lei, mugolii, risatine, bocche che si divorano a vicenda. Ecco quello che mi aspetta se dico di sì. Greta si aspetterà di essere spinta e palpeggiata contro una colonna. Mani addosso, lingua in bocca e quello schifosissimo scambio di saliva. «No, grazie.»

«Dai, Joh!» La voce di Beth mi rincorre oltre il portone e poi per i corridoi. «Si può sapere che hai?»

Spalanco le braccia e mando gli occhi al cielo.

«Ti sbava dietro mezza scuola, okay, però smetti di tirartela!»

Cazzo, mi sono scordato la roba nell'armadietto, mi volto di scatto e Beth mi arriva addosso. «Jonas White, smettila di ignorarmi.» La sua faccia cerca di essere seria, eppure non lo è.

«Ma io non ti ignoro.» La scanso e procedo a passo spedito verso l'ingresso a recuperare il libro di storia.

«No?»

«Certo, che no.» Sbuffo. «Se iniziassi, però, magari la smetteresti di provare ad appiopparmi qualsiasi bestia dotata di figa.»

È il tempismo a sbattermi in faccia l'espressione attonita di Greta, immobile davanti al suo armadietto. Forse Beth si è accorta del piccolo incidente diplomatico, del fallimento della sua agenzia matrimoniale, della faccia dell'amica precipitata sul pavimento a scacchi, perché mi ringhia contro un «cazzo, Joh», che non mi piace per niente.

Tanto meglio. Ora, se è sana di mente, Greta non fantasticherà in alcun modo sulla mia lingua nella sua bocca. E, se è sana di mente anche lei, Elizabeth smetterà di provare a farmi uscire di casa.

Faccio girare la chiave nel lucchetto e la mia faccia sparisce nel buio dell'armadietto. Vorrei essere abbastanza piccolo da starci tutto, evitare per un paio di giorni di incrociare il mio incidente diplomatico. Prendo quello che mi serve, richiudo, mi faccio scivolare la chiave nella tasca e tiro dritto. Sguscio nel marasma di corpi fermi nel corridoio e, giù in fondo, davanti ai bagni, la vedo: pare una formica impazzita. La camicia bianca dell'uniforme le esce a malapena dal collo e dai polsini di una felpa nera con il logo dei Metallica coperta di spillette. Mi avvicino.

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