22 - Sostituzioni - 🐎

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(POV Victor)

La pioggia martella sul tetto di vetro sopra le nostre teste, il suo ritmo mi risuona e riempie il ricordo di tutto ciò che è andato perduto. Blake è distesa a terra, proprio accanto a me, i suoi occhi sono chiusi, ma so che è sveglia. Il nostro respiro si perde nell'umidità dell'aria.

Il soffitto della serra riflette tracce del nostro mondo spezzato, le gocce d'acqua si trasformano in piccoli fiumi che distorcono la luce artificiale del giardino. Qualcosa mi si muove dentro, preme contro le labbra e smania per uscire.

«Blake,» parlo piano, eppure si gira lo stesso. «C'è qualcosa che devo dirti.»

Non risponde, ma il suo sguardo mi esorta a continuare. Il cuore batte più forte, una paura fredda come la notte mi invade il corpo.

Finché ce ne restiamo qui, immobili, il temporale non potrà travolgerci. Allora, perché tutto sembra raffreddarsi?

«Se ti dicessi che è qui che sono cresciuto, mi crederesti?» Il suono della mia voce sembra straniero persino a me. Le parole si mischiano al fischio feroce del vento.

«Qui, nella casa di Jonas?» Una confusa sorpresa si disegna sui suoi lineamenti.

Annuisco. Il passato mi arriva addosso, mi schiaccia. «Questa non era la casa di Jonas,» la mia voce tentenna. «Questa era la casa della mia famiglia. Era casa mia.»

⏪ Rewind

10 luglio 1987

Nella stalla l'odore di fieno e cuoio mi riempie le narici. Strofino le dita sul muso di Antares, il suo respiro caldo mi solletica il palmo della mano. Il sole di luglio filtra attraverso le fessure tra le assi di legno e disegna fasci di luce dorata che fanno risplendere la paglia. La terra secca e polverosa brilla nell'aria estiva.

I passi di mamma e papà si avvicinano, che strano: alla mamma non è mai piaciuto venire qui. Dice che i cavalli sono creature bellissime, eppure non riesce a toccarli, si vede da come li guarda, che le fanno paura. Inclino la testa, mi abbasso: da sotto la porta le loro gambe si fanno sempre più vicine e un presentimento tetro mi agita lo stomaco.

Come il giorno della morte della zia, quando sono venuti a prendermi a scuola all'orario sbagliato e ce ne siamo stati in macchina sotto la pioggia un'ora, prima che parlassero.

La porta si spalanca e compaiono due volti seri, preoccupati. Hanno qualcosa da dirmi, è talmente ovvio. La mia mano si stringe attorno alla criniera bionda di Antares, mi aggrappo a lui, il cavallo spinge con il muso contro la mia spalla, nitrisce piano.

«È morto qualcuno?»

«Dio, no. Come ti viene in mente?» La voce di mamma riecheggia stridula.

Alzo le spalle. «Quando fate le cose in modo diverso, di solito è successo qualcosa di brutto.»

Mamma sorride, eppure la sua faccia non ha niente di rassicurante.

«Dobbiamo parlarti,» la voce di papà è calma, ma c'è una specie di tristezza che non riesce a nascondere.

«Ho fatto io qualcosa di brutto?»

Papà scuote la testa, Antares spinge di nuovo con il muso, le mie dita gli accarezzano il manto del colore del fieno.

Il cuore mi batte forte nel petto. «Cosa c'è, allora?» La paura si annida nella mia voce.

Mamma si avvicina, mi accarezza i capelli. "Amore, a settembre dovremo trasferirci," è dolce mia madre, ma non c'è niente di dolce in quello che ha detto. La sua voce è un limone coperto di zucchero, che brucia lo stesso.

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