46 - Mostro -

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La strada è deserta. Il quartiere sembra sospeso in un limbo grigio, come se il tempo avesse deciso di fermarsi a metà di una giornata senza luce. Forse è così, forse domani non arriverà mai e noi resteremo bloccati in questo loop in eterno. Le case bianche e grigie si allineano lungo i marciapiedi, impassibili, e gli alberi spogli si ergono come scheletri neri che graffiano un cielo che è solo una maledizione. Le pozzanghere sono l'unica traccia di vita sulla strada, riflettono i rami degli alberi senza più foglie, l'acqua sporca trema al tocco del vento.

Il mio cellulare vibra. Un impulso mi attraversa la spina dorsale. Il cuore esplode nel petto. Sullo schermo compare il nome di Victor, e ogni mio pensiero congela. Il mio stomaco si stringe, come se qualcuno lo avesse afferrato con violenza.

"Non cercarmi più, fingi che io sia morto. E non azzardarti a dire qualcosa a Joh, né a nessun altro."

Le parole mi si infilano dentro come un acido e iniziano a bruciare, corrodono tutto. Mi manca l'aria, la vista si appanna, e il telefono mi scivola quasi dalle mani. Lo nascondo subito, prima che Jonas possa vedere quello che mi ha scritto, prima che possa intravedere anche solo il suo nome. Stringo il cellulare nel palmo come se potessi cancellare tutto quel dolore semplicemente chiudendo più forte le dita.

Victor... morto?

Il cuore batte troppo forte, troppo veloce, come se stesse cercando di scappare dal petto, di fuggire via da me e dalla realtà in cui stiamo sprofondando. Quel messaggio è una sentenza.

Accanto a me, Jonas continua a camminare sul marciapiede. Non dobbiamo andare da nessuna parte, eppure ci muoviamo da un lato all'altro della strada, senza motivo. I suoi passi riecheggiano nell'aria, il suono delle suole contro l'asfalto bagnato somiglia al battito del mio cuore. I corvi sopra di noi volano in cerchio, le loro ombre si allungano e si stringono, come se stessero aspettando il momento giusto per scendere e banchettare con i nostri resti.

Jonas si ferma, si volta verso di me e mi scruta con attenzione. «Chi ti ha scritto?» La sua voce è tranquilla. Gli invidio quel tono.

Il mio respiro si spezza, fatico a rimettere insieme i frammenti. Devo mentire, devo, ma la verità spinge per uscire, si arrampica sulla gola e accarezza le corde vocali. Sorrido, o almeno ci provo, gli regalo una smorfia maldestra. «Mia madre. Vuole che torni a casa, deve parlarmi.»

Jonas mi fissa per un attimo, sta cercando di capire se sto dicendo la verità? Passa un secondo troppo lungo, mi tremano le mani, le ficco nel cappotto insieme al mio Nokia sbeccato.

«Vuoi che ti accompagni?» La sua offerta è gentile, ma non posso accettarla. Se entrasse scoprirebbe che mia madre non deve dirmi un bel niente.

Scuoto la testa. «Non c'è bisogno. Credo che le abbiano detto che ho consegnato il compito in bianco.» Abbasso lo sguardo, cerco di sembrare normale. «Sai com'è il professor Morrison, no?»

Jonas aggrotta la fronte. «Perché hai consegnato in bianco?»

La domanda arriva come una freccia, diretta e precisa, e per un attimo mi sento scoperta.

Perchè il mio cervello non funziona da giorni. Perché non riesco a dormire, non riesco a mangiare...

Incrociamo le pupille, i nostri sguardi si accarezzano e si colpiscono come lame di spada. Cerco una risposta che non lo faccia sospettare di nulla. Devo allontanarlo, devo tenerlo lontano da tutto.

Abbasso lo sguardo, ripongo la spada. «Te l'ho detto, non mi sentivo bene.»

Lui si avvicina di un passo, Le sue iridi verdi scavano dentro di me, cercano quello che io non voglio dire. il segreto inconfessabile.

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