16 - Presagio triste - 🌑

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(POV Victor)

Resto nel bagno, annebbiato dalla luce che rimbalza contro le maioliche asettiche. Mi pare di averlo ancora addosso, Jonas, il suo profumo e l'alito gelido di menta. Le sue labbra, tese verso le mie. Deglutisco. Jonas ha lo stesso odore di suo padre. Non parlo del profumo, ma dell'odore della pelle, quello dei vestiti. I loro, lavati nella stessa casa, con lo stesso sapone. Gideon White. Mando giù altra saliva e mi tengo al bordo di ceramica del lavandino. Sapone di marsiglia, talco e qualcosa che ha a che fare solo col ph. Una nota strana, riconoscibile, eppure indescrivibile. Il suo corpo l'altra notte mi è stato tanto vicino da sentirlo e non era mai successo prima. Non durante i nostri incontri di lavoro. Il Red Garden accorcia le distanze tra i corpi, cancella le inibizioni, toglie i filtri dalle labbra, così le parole escono e scivolano nelle orecchie della gente, la scuotono.

Quello che Gideon mi ha lasciato scivolare nelle orecchie mi ha scosso e anche se continuo a ripetermi di non pensarci, non riesco a farne a meno. La sua mano, che scansa Ava e mi schiaccia contro le sbarre, quella voce, che sa di sesso e dittatura, è come se fosse qui, anche adesso. La sua eco mi risuona in tutto il corpo.

«Victor, sei lì?» Il padre di Blake, mi ero dimenticato di lui.

«Sì, ora esco.» Le unghie premono forte, le dita diventano rosse, un colore che spicca in modo particolare sul bianco immacolato.

Sangue sulla neve.

Lascio la presa, controllo le dita. Mando giù ancora. Respiro a fondo, passi misurati verso la porta, spingo e quella si apre per richiudersi subito dietro di me.

«Stava bene il tuo amico?» Parla di Jonas...

«Certo.» È così, stava davvero bene? Non lo so. Ero troppo sopraffatto per capirlo.

«Com'è andata col preside?»

Ludwig alza le spalle. «La sospensione è stata annullata.»

«Annullata?»

Evans ride. «Si è scusato per l'inconveniente. Dice che si è trattato di uno sbaglio.»

«Meglio così.»

Cosa gli avrà detto Jonas per convincerlo a ritirare tutto?

«Sembra che io sia venuto qui per niente, scappo in ufficio.» Controlla l'orologio. «Ceni da noi stasera?»

«Se riesco a finire di studiare in tempo, sì, volentieri.»

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La casa degli Evans, è la casa degli Evans. Non somiglia a nessun'altra casa. La carta da parati chiara, il giallo che risplende ovunque e tutti quei ninnoli inutili che ricoprono le mensole, i mobili e ogni altra superficie. Piccoli animali di ceramica se ne stanno in bella mostra sui centrini dai colori  sgargianti. Qui dentro, Blake pare capitata per sbaglio, lei che il colore lo ha sempre ripudiato, soprattutto dal suo corpo.

Clare traffica in cucina, suo marito apparecchia la tavola.

«Salgo di sopra, la aspetto in camera.»

Intonano un «va bene», all'unisono.

Salgo le scale, in cima alla rampa mi arriva lo scroscio della doccia, lei si sta lavando. È nuda a pochi metri da me, ma io non posso vederla. Nella sua stanza il rumore diventa più intenso. Pare una pioggia. Fuori dalla finestra il salice danza nel vento, i suoi rami flessibili tracciano onde come quelle del mare in tempesta. Le foglie frustano il vetro. Mi siedo sul letto, lo stesso in cui ho passato la notte, mi sdraio e finisco per affondare con il naso tra i suoi cuscini, il suo odore dolce mi risvegli i sensi. Il modo in cui l'ho stretta, il suo corpo che si contorceva nel mio abbraccio...

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