18 - Cose che non dovevo vedere - 👁️

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(POV Blake)

Mi perdo con lo sguardo nel labirinto. Oltre la fontana con le sirene di pietra, le siepi giocano a ingannare l'occhio. Mi perdo, fuori e dentro. Soprattutto dentro.

Mi va bene essere il tuo cane.

Poteva scegliere qualsiasi parola, invece ha pronunciato proprio quella. Deglutisco. Qualcosa si muove sui miei lineamenti, che non riescono a rilassarsi in nessun modo. Da qui sopra sembra tutto distante, quello che ha detto Victor, il CD di Jonas, i discorsi dei miei genitori... Amo questa piccola terrazza, è un luogo che non ci si aspetta da una casa come questa, mi ci sento bene qui, tra il parapetto di pietra e l'edera che ricopre i mattoni grigi. Alcune cose hanno solo bisogno di aggrapparsi a qualcosa per crescere, la loro indole non è diversa da quella di alcune persone. Ficcano radici addosso a qualcosa e di quella si nutrono. Sfioro una foglia con l'indice, percorro il piccolo stelo e provo a tirarlo via, è sottile, eppure resiste. È così scura l'edera da sembrare imbevuta d'inchiostro.

Il tlack metallico del cancello mi scuote, torno alla realtà e mi arriva tutto insieme il freddo che cala appena dopo il tramonto. La luce diventa blu, l'orizzonte brilla appena delineando le sagome nere degli alberi spogli. Giù in fondo, oltre il viale, continua a entrare gente. Il giardino addormentato degli White si riempie di grida stridule, passi veloci, bottiglie agitate in aria in segno di vittoria. A guidare la processione di teste di cazzo c'è Elizabeth. No, non la odio, ma poteva evitare di portarsi dietro mezza scuola. Mi appoggio alla balaustra, mi sporgo, sotto di me, due piani più in basso c'è Jonas, Jonas che sorride appena mi vede e mi fa cenno di scendere.

Tu, che sei innamorata di un altro, ci puoi dormire con me? Di nuovo, la voce di Vic mi ghiaccia. Mi abbraccio da sola, sfrego le mani contro le braccia e cerco di scaldarmi. Torno dentro, chiudo la porta della torre e attraverso il disimpegno imbocco le scale a chiocciola. Un cunicolo di marmo bianco con i gradini scivolosi, l'unica parte spoglia del maniero, così nivea da sembrare intagliata nella neve fresca.

Mi ritrovo fuori, nel magma di gente che esulta e non vede l'ora di stordirsi. Come dargli torto? Mi avvicino a Joh, lui si volta verso di me, mi spettina i capelli con la mano.

«Che facevi tutta sola?»

Scuoto la testa. «Pensavo.»

Joh alza le sopracciglia. «Suona triste.»

Alzo le spalle. «No, tranquillo.»

Maggie a Cathe si parlano all'orecchio, lanciano occhiate a Jonas e poi a Victor. Le percorro più volte con lo sguardo, se le consumo con gli occhi magari scompaiono. Non succede: Maggie arrossisce, si copre la bocca con la mano, l'altra ride. Sembrano evidenziatori caduti nel glitter, il prototipo di pop-girl che tutte, ma non io, vorrebbero essere. Troppo rosa, troppo azzurro, troppo trucco, troppe tette, troppi tacchi. Troppo.

La bionda ossigenata con i pantaloni a zampa e le zeppe che sembrano arcobaleni mi guarda storto. Sembrano le degne compagne di Mike e Trevor. Due oche con due coglioni, mi pare perfetto. Maggie dice qualcosa alla rossa, ora anche Cathe mi guarda male. L'unica immagine divertente che mi viene in mente è quella in cui le spingo entrambe nella fontana alle loro spalle e loro finiscono a starnazzare nell'acqua gelida. Mi si disegna un mezzo sorriso sulla bocca annoiata. Le due devono trovarlo irritante, visto che una prende sotto braccio la sorella mancata e si dirigono ancheggiando in disparte.

«Vorrei essere già sbronza.» Farfuglio.

Jonas mi prende in parola e mi passa una birra dal tavolo che qualcuno ha appena allestito sotto al portico. La gente fa come se fosse a casa sua, pure se non lo è. Portano fuori le flûte si atteggiano ad aristocratici del cazzo bevendo champagne che non potrebbero permettersi.

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