39 - Preludio -

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(POV Jonas)

La neve copre tutto, attenua i rumori, soffoca i pensieri. Un manto bianco e silenzioso si stende sul parco deserto, cancella il mondo. L'unico suono è il cigolio dell'altalena che si muove sotto il peso di Blake. Un corvo attraversa il cielo sopra le nostre teste. Coperta di nero, in netto contrasto con il candore che ci avvolge, Blake sembra un'ombra che scivola nella purezza della neve, una macchia d'inchiostro che si espande e scioglie il ghiaccio.

Stringe le catene di metallo con le mani livide per il freddo, le nocche bianche, le sue spalle sobbalzano sotto la spinta dei singhiozzi. Sono minuti interminabili che piange, il suo respiro spezzato si mescola alla foschia e alla condensa del mio fiato. Non ce la faccio più a vederla così. La luce dei lampioni riflette piccoli lampi sui suoi capelli scompigliati, scende in bagliori dorati sul nero del suo cappotto.

«Ehi...» La mia voce esce piatta e stanca, quell'unica parola resta a sospesa nell'aria gelida. Lei non risponde, si limita a stringere di più le catene e a farle cigolare, si spinge con i piedi e oscilla, avanti e indietro.

«Sono un mostro, Joh.» Lo dice senza alzare lo sguardo, fissa la neve sporca sotto di noi, come se ci fosse una risposta nascosta tra i fiocchi bianchi e il fango delle nostre suole. «Una persona normale non fa quello che faccio io.»

Il gelo mi colpisce il viso, ma non è il freddo. È l'amarezza nella sua voce, quella certezza che si è costruita da sola. Allungo la mano, tocco appena la catena della sua altalena e la avvicino un po'. «Ma tu non hai fatto niente.»

Scuote la testa, i capelli le cadono sul viso e le nascondono gli occhi. «Io non sono una brava persona,» balbetta, cerca di trattenere le lacrime, senza riuscirci. «Sto con te e continuo a stare di merda per lui.»

Un nodo stringe in fondo allo stomaco. Victor. «Si può amare più di una persona, non è un crimine.»

Io lo so, Blake, lo so fin troppo bene.

Alza lo sguardo. I suoi occhi sono gonfi, rossi, riflettono una luce che non so interpretare. «No?» scatta lei, la voce trema di rabbia. «E perché? Agli altri non succede?»

Sì, che gli succede.

Il vento soffia un po' più forte, solleva piccoli mulinelli di neve ai nostri piedi. La luce si riflette sulla sua pelle pallida. È fragile Blake, eppure così pericolosa, soprattutto per sé stessa.

«Succede anche agli altri. Solo che non ci stanno male come te.» Mi sforzo di tenere la voce bassa, controllata. «Le persone come te si fanno un sacco di problemi. Gli altri tradiscono e se ne fottono.»

Oppure fanno come me.

Blake si ferma, mi fissa con un'espressione che non riesco a decifrare. «Le persone come me?» ripete piano, mi studia. «Cosa vuoi dire con come me

Il mio respiro si ferma. Ogni cosa sembra cristallizzarsi attorno a noi, i fiocchi di neve sospesi a mezz'aria, l'altalena immobile. Non posso dirle quello che penso davvero.

«Voglio dire che ti fai male da sola,» sospiro. «Trovi sempre un modo per sentirti in colpa, anche quando non dovresti.» mi volto verso di lei. «Anche quando non hai fatto niente.»

I suoi occhi si abbassano di nuovo, fissano il bianco che si accumula attorno ai nostri piedi. Per un attimo, penso che non dirà più niente, che questo è il punto in cui smettiamo di parlare, in cui il silenzio ci soffoca entrambi. Ma poi la sua voce rompe il silenzio. «Se non facessi così schifo, lui non mi odierebbe.»

Non c'è niente di eroico o poetico, solo la cruda realtà di ciò che siamo. Lei, Victor e io. E quello spazio vuoto che ci separa, fatto di bugie e mezze verità, del terrore di sbagliare e di tutta la gelosia inutile che ci siamo spalmati addosso e che ci avvelena dentro.

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