28 - Tiepido e bollente - 💧

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(POV Blake)

«Cristo, è tardissimo.» Joh guarda verso la finestra e un tenue bagliore ci annuncia che è l'alba.

«Ci facciamo qualche ora di sonno?» Copro uno sbadiglio con il dorso della mano.

«Direi che è il caso.»

Gli occhi mi finiscono sul letto, poi su di lui. Ci scambiamo una specie di sorriso e un mezzo imbarazzo ci attraversa. Immagino di avere la sua stessa faccia.

«Tutta la mia roba è...»

«Da lui.» Joh completa la mia frase e apre un cassetto.

«Il blu dovrebbe starti meglio del nero.» Mi lancia un pigiama di seta, suppongo sia il suo.

Cerco a destra e a sinistra, c'è una porta oltre il comodino: «Immagino che il bagno sia quello.»

«Proprio lui.»

«Bene.»

«Ottimo.»

Sembriamo due deficenti. Che ci succede, Joh?

Oltre la porta rifiato, appoggio le spalle al legno e resto immobile. Poi una vocina nella testa si attiva e suona al contempo rassicurante e infelice.

Non ha nessuna intenzione di toccarti.

Zero ansia. Zero aspettative. Zero e basta. Niente di niente. Un cazzo di nulla.

Mi spoglio in modalità automa. Un automa ubriaco e con le pile scariche. Lascio la mia roba sul mobiletto accanto al lavabo, piegata alla meglio.

Mi infilo il suo pigiama. Tutto è così dannatamente strano. Lo specchio riflette un'immagine di me che non riconosco. Forse è quello che ho addosso o il fatto che sto per andare a letto con lui, sapendo che non accadrà nulla. Il blu mi dona, ha ragione, ma è un colore che non mi appartiene. È come interpretare un ruolo in una sceneggiatura che non ho scritto io.

Spremo il tubetto di dentifricio e me ne infilo una piccola noce in bocca, la strofino col dito. Victor mi avrebbe dato il suo spazzolino. La mia gola si contrae al suono marcio di quel pensiero. Mi sciacquo la bocca e sputo via tutto. Dovrei struccarmi, ma non ho voglia di farmi vedere senza niente in faccia. Con le occhiaie e le labbra smorte.

Oltre la porta del bagno mi trovo davanti Joh. È già sdraiato, con un braccio sotto la testa e l'altro abbandonato sul letto. Il bianco della pelle che spicca sul blu del raso. La lampadina è spenta, la luce dell'alba filtra dalla finestra e colora il suo corpo di un rosa tenue.

Pare un miracolo, Jonas.

E i miracoli non si possono toccare. Ecco il motivo di tutta quell'aura di santità e delle volgarità che gli escono di bocca: in qualche modo le cose si bilanciano.

Il suo sguardo si alza, incrocia il mio. Ci scambiamo un altro mezzo sorriso, lì dentro, nelle nostre espressioni, c'è qualcosa che nessuno dei due riesce a mettere a fuoco.

Mi avvicino al letto, la seta scivola dolce sulla pelle. È una sensazione che non avevo mai provato prima, questa strana miscela di intimità e distanza. Mi infilo sotto le coperte, cerco di non rompere quell'equilibrio sottile che mi tiene in piedi. Joh si gira su un fianco, mi guarda con una faccia che non riesco a decifrare.

«Comoda?» La sua voce è bassa e calma.

«Sì, grazie.»

«Sul serio?»

«Perché?» Indietreggio verso la spalliera.

Joh alza le spalle: «Perché hai un chilo di trucco in faccia e non sembra comodo

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