10 - Il CD - 💿

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(POV Blake)

22 novembre 1999

L'autobus traballa. Stringo il supporto che vibra tra le mie dita. Da ieri continuo a pensare a quel fottuto quaderno. Non mi do pace. Per tutta la notte ho cercato di ricordare ogni singolo verso, ma nella testa ho poesie storpie, rime amputate. Parole che senza le altre non trovano senso.

Cazzo, se ti sto odiando.

L'ho bruciato. Avrei voluto saltargi al collo, azzannarlo come fanno i cani.

Mando giù e la mia stessa saliva mi sembra veleno. Cosa gli ha detto la testa? Ho ancora i suoi occhi stampati in mente e la sensazione dei miei lineamenti che si rabbuiano distorcendomi il viso. Io che me ne vado e lo lascio lì, a fissarmi inebedito. Nelle orecchie ho Kurt Cobain che urla sconsolato un dolore identico al mio, alzo il volume, cancello ogni interferenza. Rape me mi esplode dentro, brucia nei polmoni.

Hate me,

Do it, and do it again.

Waste me,

Rape me, my friend.

Dio, è come se avessi visto bruciare un museo. Un'anima. Un dono. Quello che Victor aveva fatto all'umanità, ma che aveva condiviso solo con me. Stringo le dita attorno al metallo, butto in quel gesto tutta la mia frustrazione. Qualcosa mi colpisce la schiena, mi volto spalancando le palpebre. Jonas muove le labbra, ma la voce del mio suicida preferito copre ogni cosa che dice. A malincuore sfilo le cuffie.

«Guarda che dobbiamo scendere!»

«Cazzo!»

Ci catapultiamo dall'altro lato del bus schivando vecchiette in pelliccia e uomini in ventiquattrore.

«'sta un po' attenta idiota!» Una voce femminile mi arriva stridula.

Sto per voltarmi, ma Jonas mi trascina fuori e quasi mi ammazzo, inciampo nel gradino e gli finisco addosso, mi schianto contro di lui come un'onda. Respiro il suo patchouli, che si mischia all'odore dell'erba. Le dita affondano nel suo maglione di cachemire bianco. Le guance mi diventano calde. Per un minuscolo istante chiudo gli occhi e vedo sfocare la rabbia per Victor nelle mie ciglia che si incontrano.

«Oh, ci sei?» Mi arriva un colpetto sulla fronte. Il suo indice che preme contro la mia testa e mi allontana. Alzo gli occhi e mi ritrovo i suoi puntati addosso, la barba incolta e i capelli in disordine. Non dico una parola.

«Blake?»

«Sì, scusa è che non ho dormito niente, sono rincoglionita dal sonno.»

Jonas si aggancia al mio braccio, un gesto identico a quello che di solito mi riserva Victor. Comincia a camminare, mi trascina dietro di lui. Calpestiamo erba e ghiaia, saliamo il gradino di pietra e percorriamo il portico, solo che alla fine lui non svolta verso l'ingresso, si siede sotto l'arco che affaccia sull'ala in disuso, quella accanto al teatro.

«Non entri?» Mi volto verso di lui e di nuovo butto un occhio alla processione di studenti che varca il portone.

«Entro più tardi.»

«Quanto, più tardi?»

Apre la giacca e mi indica il taschino interno, cucito nella fodera bordeaux, infila pollice e indice lì dentro, gli anelli d'argento riflettono un flebile raggio di sole che si insinua tra noi, la sua pelle nivea spicca sul rosso, le labbra si curvano in un sorriso. Mi mostra la punta della canna e la fa scivolare di nuovo sul fondo.

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