21 - Fiori di serra - 🌼

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(POV Blake)

Spingo con tutta la forza che ho in corpo e la porta della serra alla fine cede, si apre, il caldo umido mi arriva in faccia, quasi soffocante dopo il gelo tagliente in cui ho corso. Si è infilato dentro, quel freddo, tra gli strati di stoffa e la pelle, e poi sotto. Vicino alle ossa. La luna filtra attraverso i vetri appannati, ombre spettrali fanno da specchio alle piante esotiche. Ogni passo è un affondo nel silenzio, rotto dal mio respiro affannato e irregolare. Il mio cuore impazzito risuona come un disco rotto. Non ho nulla di musicale dentro. Sono da riscrivere. Sono sbagliata, dall'inizio alla fine.

Foglie enormi, e fiori dalle forme aliene. Tutto qui dentro è vivo, tranne me che sono morta dentro. Mi appoggio a una colonna coperta di muschio, scivolo con la schiena contro il marmo e finisco a terra, tra i trucioli tiepidi. Le mani tremano, cerco di ricacciare indietro il pianto.

Merda.

Cosa credevi, che lui ti amasse? Idiota.

Jonas. Deglutisco a fatica e la gola mi brucia. Chiudo gli occhi, appare lui. Lui che si china tra le sue cosce. Lui che la lecca. Stringo i pugni. Mi maledico per il male che sento.

Le piante che vivono qui dentro ignorano di esistere in un'illusione. Non sanno come è ostile la realtà oltre i vetri. Non sanno che l'estate non esiste a dicembre. Che Londra è un arido luogo di morte. Grigia e senza colore, esattamente come me.

Bromelie, orchidee e felci: rigogliose, perfette. Eppure, senza le cure costanti che mantengono questo microcosmo, morirebbero tutte. È un fragile equilibrio. Basterebbe aprire le porte e lasciar entrare l'inverno.

L'inverno, Jonas me l'ha sbattuto il faccia. Il gelo che ammazza gli steli. La realtà che azzanna al collo, che succhia il sangue, che tramortisce e strangola.

Infilo le dita tra i pezzetti di corteccia che ricoprono la terra, mi illudo di poter restare qui, mettere radici dalle dita. Diventare una pianta, restare un'illusa.

Non che ci credessi davvero, a me e lui. Insieme.

Foglie spesse e lucide restano immobili sulla mia testa, il vento fuori sferza le querce, ulula nel nero del cielo.

Alcune cose ci riescono. Riescono a fare i conti col mondo.

«Perché non io?» Un sussurro esce dai denti serrati. Non devo piangere. «Perché, proprio quella squallida puttana?»

Mi concentro sul respiro tremolante, sull'aria umida che si infila nei polmoni, sull'odore di terra bagnata che somiglia a quello che riempie le strade dopo la pioggia.

Il rumore della porta che si apre. Lo scatto metallico e il cigolio trascinato. Sobbalzo, il cuore batte all'impazzata. Trattengo il respiro, nemmeno fosse visibile. Qualcuno è entrato nella serra. La porta si richiude alle sue spalle. Devo nascondermi. Sparire.

Mi asciugo gli occhi con il dorso della mano, movimenti veloci e approssimativi. Ho i polpastrelli che sanno di terra e polvere. Intorno è una distesa di ombre, le piante stesse somigliano a fantasmi neri. Non c'è spazio tra le loro presenze scure. Mi trascino, giro intorno alla colonna e cerco di nascondermi dietro di lei. La punta di una foglia mi colpisce il viso. Mi accuccio, scompaio. Scompaio persino a me stessa.

Chi c'è qui dentro insieme a me?

I passi si avvicinano, lenti, incerti. Respiro piano e spero d'essere sparita davvero, un tutt'uno col nero.

Attraverso le foglie una figura si muove nella penombra. Non riesco a distinguerne i tratti, ma il suo portamento lo riconoscerei tra mille. Il modo impeccabile di camminare, le spalle larghe e la schiena dritta. È Victor. Il mio cuore si schianta contro il suo nome. Non voglio che mi veda.

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