Venere, giovane studentessa universitaria a Roma, nasconde dietro la sua vita apparentemente perfetta una lotta segreta contro la dipendenza da cocaina. Un giorno, il suo cuore, ferito da un ex particolarmente aggressivo, si scontra con quello di Th...
Questa volta non indossa il suo abito da pinguino, ma un paio di jeans chiari e una camicia nera. I suoi piedi sono calzati con un paio di Vans. Sembra quasi un ragazzo di 25 anni, e non mio nonno.
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"Ma che ci fai qui?" dico, trasmettendo il mio disagio. "Sono passato a vedere come stavi," risponde prontamente, rimanendo immobile davanti alla porta. "Dopo tre giorni? Che pensiero gentile," penso tra me e me. "Sto bene, ora l'hai visto," dico, facendo un gesto per chiudere la porta, ma lui la blocca. "Ti prego, possiamo parlare un attimo? Vorrei almeno provare a spiegarti." Sono ancora arrabbiata e non cerco neanche di nasconderlo. Lui si schiarisce la voce, come se stesse per dire qualcosa, ma io lo interrompo: "Non devi spiegarmi niente. Avevi ragione, Thomas. Puoi frequentare chi ti pare, la prossima volta però usa la tua macchina. Tutto qui," sentenzio. Lascio andare la porta e vado in cucina, facendogli capire che può entrare. "Levati le scarpe, odio quando si cammina con le scarpe sul pavimento", esclamo. Lo vedo alzare gli occhi al cielo. Fisso la macchinetta del caffè che ancora rifiuta di darmi il via per iniziare la giornata. "È carino qui," dice Thomas guardandosi intorno, anche se so che non lo pensa davvero. Deve essere abituato a vivere in una casa di 200 metri quadrati con colf e ogni sorta di comodità. Lo guardo come se avesse appena detto la cosa più sciocca del mondo. Nel tumulto dell'emozione per averlo visto davanti alla mia porta, non mi sono neanche resa conto che indosso solo una lunga maglietta della Lazio, taglia L. "Vuoi un caffè?" chiedo, visibilmente irritata. "No, grazie. Io bevo solo..." "Ginseng, lo so," interrompo, prendendo la mia tazza dallo scaffale della cucina. "Venere... mi dispiace davvero. Sono tre giorni che non riesco a pensare ad altro. Non riesco nemmeno a concentrarmi sul lavoro, cavolo. So di averti mancato di rispetto, ma non so cosa sia successo... Io..." "Non preoccuparti," rispondo con calma. "Ti ho detto che non fa niente, ma la mia macchina non te la presto più. Puoi andare, Thomas. Sto bene, e come vedi, non mi sto deprimendo solo perché un ragazzo che nemmeno conosco ha una vita sessuale parecchio attiva." Dico, cercando di sorridere. In realtà, non voglio sorridere, ma il sorriso mi viene spontaneo. "Sei tu il problema," continua Thomas.
"Tutta la mattina, poi la sera, poi quella gonna, quei tacchi... la sigaretta fuori, le calze..." "Ok, ok, fermati!" Lo interrompo. "La colpa sarebbe mia perché, guardandomi, ti sei immaginato chissà che scenario porno e dovevi sfogare in qualche modo le tue pulsioni?" Chiedo, sorseggiando il caffè al quale ho aggiunto del latte. "Più o meno," dice lui sdraiandosi sul divano. "Beh, è la scusa meno scusa che abbia mai sentito in vita mia," rispondo mentre accendo una sigaretta. "Non è una scusa. Ognuno ha i suoi vizi. E ti ho detto che la sigaretta mi dà fastidio." In realtà, ha detto che la sigaretta gli dà fastidio in generale, ma non quando la fumo io, cosa ben diversa. Decido di ignorare questa sua ultima affermazione e continuo a fumare, cercando di rimanere calma. Sono sveglia da neanche venti minuti e già mi ha fatto arrabbiare di nuovo. "E che vizio sarebbe? Fare sveltine in macchina?" domando sarcastica. "Non la chiamerei proprio 'sveltina', ma va bene," risponde lui con un sorriso beffardo. Faccio una smorfia disgustata. "Sei un coglione, un ricco coglione." Mi giro di spalle e metto la tazza nel lavandino. La mia casa è praticamente una grande stanza con cucina e salotto insieme; i fornelli e il divano sono divisi da una parete con scaffali a vista. Il divano è nero e in pelle, ormai squarciato dalle unghie della mia gatta. In mezzo c'è un piccolo tavolino in vetro con due sedie bianche. Queen salta sul divano e lui sobbalza. Prova ad accarezzarla, ma lei si scansa prontamente. "Non piaci neanche a lei," dico aspirando la sigaretta. Lui mi guarda con un'aria compiaciuta. "L'altra notte sembrava che alla sua padrona piacessi, però," dice lui, cercando ancora di toccare Queen. "L'altra notte la sua padrona era ubriaca e non in grado di intendere e volere," continuo io, facendo il verso a lui. Alla fine, Queen cede e inizia a strusciarsi sulle sue gambe. Lui sorride. Anche la mia gatta non resiste alla sua maledetta fossetta.