Rimango per qualche minuto sopra di lui. Sono stremata. Sudata come se avessi fatto la maratona di New York. Lui mi abbraccia e mi fa dei grattini sulla schiena. Cazzo Venere, non ti regoli. Neanche mi è passato l'effetto della droga e già i sensi di colpa iniziano ad assalirmi. Sei una puttana, Venere. Sentenzia il mio subconscio. Io mi alzo e mi rimetto sul sedile del passeggero.
"Che succede?" domanda Thomas sfilando il preservativo. Lo vedo riporlo nella bustina e sistemarla dove l'ha presa. Almeno non lo getta per terra. Odio chi butta le cose per terra.
"Niente," mento. "Possiamo andare a casa?" Lui mi guarda perplesso. So che non capisce. Non capisco neanche io. È stato uno dei momenti più intensi che abbia mai vissuto ma l'ho vissuto perché spinta dalla droga. Certo, lo volevo da quando eravamo fuori dalla sala giochi a fumare, ma forse non così, o forse sì?
"Sì, certo!" Passiamo il restante quarto d'ora in macchina in silenzio. Lui mi prende la mano, come aveva fatto dopo il bagno in mare. Ripenso a come ha preso il preservativo e l'ha indossato. "Chissà quante volte l'ha fatto, sei solo una delle sue tante evasioni." Cerco di scacciare questi pensieri paranoici. È un altro effetto di quella maledetta. Prima la felicità, la certezza di poter fare qualsiasi cosa al mondo. Poi le paranoie, le ansie, le paure, le frustrazioni, i sensi di colpa, il vuoto, il buio, il tunnel. Ma perché continuo a farlo? Mi fa solo stare male, mi fa solo sentire sbagliata. Arriviamo sotto casa mia e lui deve mettersi in doppia fila, è già complicato trovare parcheggio, con questa macchina ne servirebbero due attaccati.
"Venere... io... non mi sono mai sentito così," mi confessa. E perché io?
"Così come?" indago.
"Così... così... non lo so, cazzo Venere. Più mi dico che è sbagliato, che te sei sbagliata, più voglio starti lontano e più non ci riesco."
"E perché sarei sbagliata?" gli domando con tono nervoso.
"Perché sei pazza, Venere. Un minuto pensi una cosa, il minuto dopo ne pensi un'altra. Un minuto mi vuoi, quello dopo mi dici che non sei il mio giocattolo, quello dopo ancora mi salti addosso..." le sue parole escono una dopo l'altra. "...tutte quelle cazzo di sveltine di cui parli tu continuamente sono appunto... sveltine! Io di alcune di loro neanche ricordo il nome." Non so se questa cosa dovrebbe farmi sentire orgogliosa o dovrebbe farmi incazzare. Sono felice, almeno, che abbia usato precauzioni, altrimenti chissà quante malattie avrei potuto prendere. Lui si rende conto che non so cosa pensare o cosa dire e continua: "Cosa devo fare? Io non riesco a non pensarti, e dopo quello che è successo prima passerò il resto dei giorni ad eccitarmi soltanto ripensando all'immagine di noi due." Io scuoto la testa.
"Lo sai che non sono proprio me stessa stasera, vero?" Lui si rabbuia.
"Cazzo, Venere, sono un uomo. Non volevo all'inizio, sapevo che ti sei drogata, ma santo cielo, mi salti addosso, cominci a strusciarti, a dirmi quelle cose all'orecchio, mi lecchi. Che cosa avrei dovuto fare?" esclama alzando il tono della voce. "Hai ragione, sei una puttana." Sarebbe il caso che il mio subconscio ogni tanto si facesse gli affari suoi.
"Hai ragione, Thomas..." ammetto. "...non so cosa mi sia preso, cioè lo so in realtà, mi dispiace averti usato in quel modo, mi dispiace essere diventata quel tipo di persona." Mi rattristo e come per le emozioni positive, anche le emozioni negative sono amplificate e quasi mi viene da piangere. Lui mi mette una mano in viso.
"Venere, è stata l'esperienza più bella della mia vita," dice dolcemente. Il mio cuore ricomincia a battere. "Ora vai a dormire... ne riparliamo domani." Capirai, dormire. Sì, forse tra due ore riesco.
"Sarà difficile dormire ora ma ci provo." Lui mi dà un bacio in bocca. Esco dalla macchina e lo vedo rimanere davanti al portone finché non sono nell'atrio del palazzo. Sono assalita da così tante emozioni una dopo l'altra che per poco non svengo facendo le scale. Quando arrivo a casa, trovo come sempre Queen ad aspettarmi ansiosa. La prendo in braccio e lascio che mi faccia le fusa sul cuore. Mi spoglio, lanciando i vestiti a terra, e mi metto la maglia della Lazio. Mi butto sul letto e chiudo gli occhi, sperando che lei esca dal mio corpo presto e mi faccia riposare.Voglio parlare ma non riesco. Voglio muovere le braccia o le gambe ma non riesco. Inizio ad entrare nel panico.
Il mio corpo è pervaso dalla paura, un'angoscia incontrollabile. Mi sembra che passino secoli e secoli. Inizio a respirare faticosamente e sento un'oppressione crescente sul petto. Apro gli occhi e vedo solo buio intorno a me. Non riesco neanche a deglutire. Sono presente, ma il mio corpo non risponde ai comandi. Il terrore diventa assoluto. Da lontano, vedo apparire una sagoma nera, ne scorgo l'ombra. Si avvicina lentamente e il terrore aumenta. Mi è davanti e mi posa le mani sulle braccia per immobilizzarle. Vorrei urlare, ma a malapena riesco a muovere la bocca. Non produco alcun suono, ma la paura è sempre più profonda. Sento il cuore battere così forte da sembrare sul punto di uscire dal petto. Mi abbandono lentamente a questo stato d'animo. Cerco di tranquillizzarmi, di pensare che è tutto nellamia testa. La paralisi del sonno. Ci soffro da ormai tre mesi. La prima volta sono entrata nel panico. Ho pensato di morire e nei giorni successivi ho faticato a dormire. Poi mi sono informata per cercare di evitare momenti come questi. La paralisi del sonno avviene a metà strada tra il sonno e la veglia ed è caratterizzata dall'impossibilità di muoversi, e come nel mio caso, da allucinazioni. Ho letto che questa condizione affligge principalmente persone che dormono poco e che sono avvolte dall'ansia e dallo stress.
Dovrei parlarne con qualcuno, dovrei uscire da questo incubo continuo.
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IL BATTITO DEL NOSTRO CUORE
ChickLitVenere, giovane studentessa universitaria a Roma, nasconde dietro la sua vita apparentemente perfetta una lotta segreta contro la dipendenza da cocaina. Un giorno, il suo cuore, ferito da un ex particolarmente aggressivo, si scontra con quello di Th...