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La mattina seguente mi sveglio per prima, lasciando le mie amiche che dormono tranquille. Impiego un'oretta per prepararmi e, dopo aver dato loro un saluto silenzioso, esco. Credo fermamente che avere delle amiche di cui fidarsi sia un pilastro fondamentale nella vita. Sono quelle persone che ti salvano, le brave persone. E io ho la fortuna di essere circondata da brave persone: la mia famiglia, mia sorella, Sofia e Lucrezia. Sono le brave persone che ti danno la forza per non sprofondare, sono la ragione per cui riesci a rimanere a galla.

Arrivo in sala puntualissima alle 9 e mi preparo la mia solita tazza di caffè. Dopo aver pulito e messo a posto i conti, mi appresto ad aprire i lucchetti. Dopo due anni, devo ancora capire quale chiave usare per la porta a destra e quale per quella a sinistra, ma non perdo la speranza di risolvere questo mistero prima o poi. Finalmente, riesco a sbloccare quella maledetta serratura e apro la porta. Un raggio di sole mi accoglie nel viso. Siamo ormai a fine aprile, e il caldo comincia a farsi sentire. Mi giro per tornare alla cassa, ma qualcuno mi afferra il braccio.

"Venere, scusami... io..." Il terrore mi pervade nuovamente. Scansiono nervosamente la sala e mi accorgo di essere sola. La mattina, Claudio non è mai di turno, e oggi persino la donna delle pulizie è di riposo. I clienti non si fanno vedere all'apertura, e io inizio a sentire il panico salire.
"Simone... per favore, lasciami il braccio!" riesco a dire con voce tremante. Lui continua a stringermi, fissandomi con occhi persi, smarriti.
"Devo ancora andare a dormire. Mi dispiace per quello che ho fatto. Sai che non volevo..." La sua mano sfiora la mia guancia, coperta da uno spesso strato di fondotinta.
"Non fa niente. A volte, capisco che si possa perdere la pazienza," cerco di giustificarlo, cercando di apparire credibile. Non voglio complicare una situazione già pericolosa.
"Sai che non sono cattivo... A volte... a volte mi fai davvero arrabbiare." Mi sento quasi svenire. Non credo che possa farmi davvero del male, cerco di convincermi che non sia capace di farlo. Si avvicina ancora di più. Sento l'odore di vodka. Non lo riconosco più. Come può cambiare così? Cosa si scatena nella mente di una persona per farle perdere completamente il controllo?
"Perché mi hai abbandonato?" mi chiede, prendendomi per le spalle. Il mio cuore batte a una velocità folle.
"Io... non ti ho abbandonato. Ho solo bisogno di un po' di tempo per capire..."
"Tempo?" dice alzando il tono di voce. "Sono cinque mesi che ci siamo lasciati! Quanto tempo ti serve?" continua in modo aggressivo. Ha degli sbalzi d'umore assurdi. Cerco di staccare le sue mani da me, ma lui non sembra intenzionato a mollare.
"Possiamo parlare quando sarai più lucido?" chiedo speranzosa, desiderando una risposta affermativa.
"Possiamo parlare quando sarai più lucido?" mi imita con sarcasmo. "Sempre così rompipalle! Sempre così critica! Pensi di essere perfetta, eh?" Sta perdendo la testa di nuovo, e io non so cosa dire o fare per evitare che accada. Mi sento come in ogni nostra litigata: inerme e impotente.
"Pensi di potermi giudicare?" inizia a scuotermi e stringe sempre di più le spalle.
"Mi fai male, Simone. Lasciami, per favore!" lo imploro, pregandolo di smettere.
"Dovevamo stare insieme per tutta la vita, avevamo dei progetti! E ora tu? Ti scopi chissà chi a casa nostra!" grida.
"Io non mi scopo nessuno a casa nostra," rispondo cercando di liberarmi dalla sua presa.
"A casa nostra no, ma in giro? Ti scopi quel bastardo, vero? L'ho capito appena l'ho visto." Continua a sbattermi contro il muro della cassa. Vorrei dire qualcosa, vorrei urlargli di lasciarmi stare, ma le parole mi si strozzano in gola. È come se ogni volta la paura blocchi ogni mio gesto. "...TE LO SCOPI?"

"Tutto a posto?" Sento una voce dall'altro capo della sala. La riconosco: è Ettore, il marito di Eleonora. Ettore ha cinquant'anni e potrebbe tranquillamente essere mio padre. Provo una sensazione di sollievo. Ettore è un uomo massiccio, almeno 90 kg. È cresciuto nelle case popolari di Ostia ed è proprietario di un banco di frutta molto famoso. Anche se può essere un po' brusco, in fondo è buono e molto affezionato a noi ragazze.
Simone mi lascia il braccio e lo guarda con rabbia. "Sì... Grazie, Ettore!" dico sollevata.
"Dovresti andare via," continua lui, guardando Simone. Quest'ultimo si incupisce ancora di più. So che non è abbastanza lucido, ma sarebbe davvero pazzo a pensare di competere contro Ettore.
"Ne parleremo dopo," mi minaccia, guardandomi male. Io annuisco. Simone esce velocemente dalla sala e sbatte la porta. Respiro profondamente e mi appoggio alla cassa per non svenire. Ettore si avvicina a me e mi sostiene.
"È il tuo ex?" mi domanda. Come ho detto, spesso siamo sole in sala con qualche cliente, e per passare il tempo parliamo e condividiamo le nostre storie. Ettore e Eleonora sanno quasi tutto di noi perché trascorrono molto tempo in questa sala giochi. Il mio silenzio gli fa capire che ha colto nel segno.
"Non sembra molto normale," continua preoccupato. "Ho visto che avevi paura. Ti ha fatto lui questo?" mi chiede, indicando la tumefazione sulla mia guancia.
"Non è cattivo. Sta solo soffrendo molto per la fine della nostra storia," cerco ancora di giustificarlo. Ma perché continuo?
"Se lo vedo di nuovo qui dentro, a prescindere dal fatto che sia o non sia cattivo, gli spacco la faccia e lo caccio fuori. Tienilo presente!" dice Ettore. La sua franchezza quasi mi fa sorridere. Ho detto che è brusco, un po' rozzo a volte, e so che probabilmente lo farebbe davvero.
"Come tornerai a casa?" mi chiede preoccupato.
"Con la mia macchina."
"Chiama qualcuno e fatti venire a prendere." Sì, forse dovrei.
Dovrei chiamare qualsiasi altra persona diversa da quella a cui sto pensando, ma io voglio chiamare lui.

IL BATTITO DEL NOSTRO CUOREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora