Capitolo 42

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Lucas
<Si. Te ne voglio parlare.>
Mi sorride e il mio cuore si scalda.
Forse non scapperà, forse lei rimarrà accanto a me.
Non so da dove iniziare, inizio a guardarmi intorno per prendere tempo.
Due piccole mani accarezzano le mie e mi danno il coraggio necessario per iniziare a raccontare ciò che cerco con tutto me stesso di dimenticare.
<Sono nato in una famiglia felice, una di quelle che la mattina fanno colazione tutti insieme e si dicono in cosa consisterà la propria giornata. Poi i miei genitori hanno deciso di farmi un regalo, il più bello che potessi mai ricevere, Mark. Mi è bastato guardarlo negli occhi appena è tornato a casa insieme a mia madre per capire che io e lui saremmo stati legati per tutta la vita. Avevamo una villetta vicino Toronto e i nostri vicini di casa erano i genitori di Virginie.>
Spalanca gli occhi sorpresa <quindi voi...>
<Si, noi ci conosciamo da quando eravamo dei marmocchi e insieme, tutti e tre ne abbiamo combinate di tutti i colori, facendo disperare i nostri genitori.>
Sorrido al ricordo di noi tre che ci nascondevamo in casa e loro ci cercavano disperatamente oppure quando decidemmo di gareggiare in bici di nascosto e tornammo a casa ognuno di noi con qualcosa di rotto.
Potrei continuare all'infinito ma decido di proseguire con il mio racconto.
Lei mi guarda in attesa senza mai mettermi fretta.
<Una sera quando i nostri genitori insieme a quelli di Virginie decisero di andare a teatro, lasciando noi tre a casa con la babysitter. Ricordo come se fosse ieri che eravamo tutti e tre sul divano, Mark e Juliet dormivano, io no. Pioveva, tanto e un tuono fortissimo fece svegliare loro. Ci abbracciammo tutti e tre, era un nostro modo per darci coraggio e scacciare la paura. Finalmente ci stavamo tranquillizzando fin quando il campanello di casa non suonò. Mi alzai per andare ad aprire, felice che i nostri genitori fossero tornati. Ma quando spalancai la porta, di fronte a me non trovai mia madre e mio padre, ma la polizia. Ero piccolo ma dentro di me sapevo che ci fosse qualcosa di strano. Chiesi loro cosa volessero, ma non mi risposero, vollero parlare con la babysitter e dallo sguardo di quest'ultima capii che da quel momento in poi la mia vita sarebbe cambiata.>
Alyson ha gli occhi lucidi, ha capito perfettamente quali saranno le mie prossime parole.
<Erano morti, tutti e quattro. Incidente d'auto. Pioveva a dirotto e un camion ha tagliato la strada alla loro macchina. Non ci fu niente da fare.>
Lacrime calde le scorrono sul viso.
<Un paio di ora prima avevo tutto nella vita e un paio di ore dopo mi era strappato via tutto. La tranquillità, la sicurezza, l'amore.>
Gattona sul letto, si siede sulle mie gambe e mi da un bacio a fior di labbra.
<Il giorno dopo siamo stati portati in orfanotrofio, tutti e tre. Almeno non mi avevano diviso da Virginie e Mark e potevamo continuare a crescere insieme. Era una bella struttura, grande, in ogni camera dormivano al massimo tre persone, era troppo bella per essere un orfanotrofio. Avevamo maestri privati perché non ci era concesso uscire. I primi due anni siamo stati bene, all'inizio abbiamo fatto una fatica enorme per abituarci, la mancanza dei miei genitori la sentivo ogni giorno di più, ma dovevo essere forte per Mark e Virginie. Loro erano la famiglia che mi era rimasta e per nulla al mondo mi sarei diviso da loro. >
<Hai guardato il lato positivo per poter andare avanti.>
<Si piccolo angelo. Ma tutto si è stravolto il giorno del mio nono compleanno. Era l'una di notte e il marito della direttrice mi ha preso di peso dal letto per portarmi nel seminterrato. Ho chiesto cosa ci facessi lì ma lui mi ha ordinato di fare silenzio mentre con le mani mi incatenava alla sedia. Ho iniziato ad avere paura e piangere ma lui anziché dirmi di smettere disse che i bambini che piangono lo facevano guadagnare di più. Non capivo, ero troppo piccolo e ingenuo. Poi entrò in quel sotterraneo un uomo, sembrava un uomo colto e distinto dai vestiti eleganti e costosi che indossava. Ma ben preso capii che non sono gli abiti a definire una persona, solo che io a differenza di tutti gli altri l'ho capito quando ero solo un bambino e nel peggior modo possibile.>
<Non dirmi che ...> la interrompo.
<Fammi continuare altrimenti perderò tutto il coraggio per proseguire.>
<Scusami.>
<Non scusarti. Vivevamo in una bella struttura perché giravano soldi sottobanco. E questi soldi provenivano da persone che avevano bisogno di sfogare il loro sadismo. E quali miglior vittime di bambini innocenti? Bambini che avevano perso tutto e passavano tutte le ore in quella struttura. Bambini che non avevano più nulla da perdere se non il proprio cuore, proprio come è successo a me.  Mi picchiavano, era in questo che consisteva la loro perversione. Picchiare per minuti interi, con pugno, calci, catene, mazze oppure spegnere cicche sul mio corpo. Li faceva sentire bene, si sfogavano così. Se avessi pianto loro si sarebbero eccitati ancora di più e quando lo capii iniziai a non piangere più. Non so dove trovai la forza ma ci riuscii. Solo che un cliente si eccitava di più a vedermi trattenere le lacrime che a tirarle fuori. È andata avanti per mesi e quando facevo i capricci loro minacciavano di far del male a Mark e Virginie. Non potevo permetterlo. Dopo ogni notte, passavo il giorno seguente in camera, con bende per tutto il corpo. Pensavo solo a trovare una soluzione fin quando, finalmente un giorno non venne a farci visita un'assistente sociale. Presi dal cassetto del comodino un disegno, un disegno che guardato da un occhio attento, spiegava l'inferno che passavo fra quelle mura. La mia fortuna è stata che quegli occhi non solo furono attenti e capirono tutto ma nel giro di un paio d'ora riuscì a liberarci da quegli stronzi. Facendo arrestare tutti e liberando noi. Fummo trasferiti in una casa-famiglia, sempre tutti e tre insieme. Ho incontrato psicologi ma non è servito a nulla. Il trauma è ancora molto vivo dentro di me. E lì che abbiamo incontrato Marcus e siamo diventati un quartetto. Il resto è storia.>
Continua a piangere e nei suoi occhi non leggo pena, ma ammirazione.
<Adesso sai quasi tutto. Sai il mio passato e sai quanto io sia problematico. Sai da cosa deriva il mio essere scontroso e scostante. Ogni notte ho il terrore di chiudere gli occhi perché sono anni che faccio sempre lo stesso incubo e divento violento. Ma da quando ti conosco sogno che oltre a me fanno del male anche a te. Quando abbiamo dormito insieme e ti ho stretto il braccio in una morsa fortissima ho avuto l'ennesima conferma che non possiamo stare insieme. Come posso pretendere che tu ti dia completamente a me se ho il terrore di chiudere gli occhi con te accanto per paura di farti del male? Ecco perché ti ho tenuta lontana. Tu non meriti questo.>
<Io merito te e non c'è nessuno al mondo che meriti me più di te. Certo ti sei comportato da grandissimo stronzo e adesso che conosco i motivi, capisco i tuoi atteggiamenti. Sei scontroso? È ciò che mi ha fatto perdere la testa per te. Sei problematico? Risolveremo tutto insieme. Se siamo insieme, siamo più forti. Hai me, hai la tua famiglia, quella che ti sei costruito da zero. Sono qui per te.>
<Sei troppo per me. Ho il terrore che prima o poi tu te ne andrai. E se tu andrai via di me non resterà niente. >
<Me ne andrò solo se me ne darai motivo. Ma mai per mia volontà. Devo dirti una cosa.>
Sono agitato perché mi basta specchiarmi nei suoi occhi per capire cosa vuole dirmi e sono terrorizzato.
<Ti amo.>
Mi pietrifico.
<Non avere paura.>
<Non ho paura. Mi ami come amavi lui?>
Ho bisogno di sapere.
<Lui è stato il mio primo amore, quello giusto come già ti dissi tempo fa. Tu invece, sei il mio grande amore. Quell'amore come si legge nei libri, quell'amore che anche dopo mesi basta uno sguardo per farti tremare le gambe. Quell'amore che si prende tutto senza chiederti il permesso. Quell'amore che cambia tutte le carte in tavola. Quell'amore che sai che ti farà soffrire e ti ridurrà il cuore in mille pezzi ma è talmente potente che vuoi viverlo lo stesso. Perché anche pochi attimi valgono la pena di essere vissuti. Sei questo per me.>
Non ho bisogno di altre parole, ho bisogno di lei.
Stringo i suoi capelli, le reclino la testa e la bacio.
La bacio ma e come se la stessi mangiando.
Dal modo in cui ci stringiamo capisco che da questa sera in poi tutto cambierà.
La faccio distendere sul letto di schiena e mi appoggio sui talloni per osservarla.
<Questo vestito piccolo angelo, è illegale indossato da te.>
Alza gli occhi al cielo.
<È un semplice vestito.>
<Ma il tuo non è un semplice corpo. Ti sta attaccato come seconda pelle. Appena ti ho vista stasera mi sono ritrovato a desiderare di essere un fottuto vestito. Ti rendi conto in che condizioni sono?>
<Le mie stesse condizioni Lucas.>
Poiché io sono un gran bastardo, con le mani prendo le estremità del vestito e le tiro così forte fino a stracciare la stoffa.
<Mi devi un vestito.>
<Ti devo più e più orgasmi. Dobbiamo recuperare questi giorni.>
Se mentre lo stracciavo sorridevo mi basta vederla in mutandine e notare la mancanza di reggiseno per tornare serio.
E non perché voglia fare scenate ma perché ho una gran voglia di assaporarla tutta.
Inizio a succhiarle prima un capezzolo e poi l'altro, per poi scendere piano verso l'ombelico.
<Lucas, ti prego.>
<Fra poco mi pregherai di fermarmi perché ho intenzione di scoparti per tutta la notte.>
Con entrambe le mani le sfilo le mutandine e spalanco le sue gambe perfette.
E la sua fica è lì, a pochi centimetri da me e non so se scoparla con la lingua prima oppure penetrarla direttamente con il mio cazzo.
Ma ricordo perfettamente come gemeva quando l'ho leccata quindi non perdo tempo e mi tuffo con la testa fra le sue gambe.
È sempre liscia e perfetta per me.
Inizio a morderle e poi succhiarle il clitoride.
I suoi gemiti riecheggiano nella camera.
Aggiungo prima un dito e poi un altro, la sento irrigidirsi e bagnarsi sempre di più.
Segno evidente che è vicina all'orgasmo.
Aumentò il ritmo fin quando il mio piccolo angelo non arriverà al culmine.
E dio potrei guardarla per ore venire, senza stancarmi mai.
<Non ho finito con te.>
Mi stendo accanto a lei e la faccio sollevare.
Le sue gambe ai lati del mio bacino.
<Prendimi piccolo angelo.>
Prende il mio cazzo in mano e lo allinea alla sua fessura.
Con calma ci si siede sopra prendendomi centimetro dopo centimetro, con un lentezza che mi eccita a dismisura.
<Guardati piccolo angelo, guarda come siamo uniti. Guarda come mi prendi bene.>
Si abbassa e finalmente sono del tutto dentro di lei.
E stretta, calda e bagnata.
Come sempre.
Inizia a cavalcarmi ed io inizio a torturale i capezzoli.
Gemiamo insieme, lei molto più di me.
<Brava così, cavalcami. Sei il mio paradiso personale.>
Le vado incontro con le spinte.
<Oh mio dio. È bellissimo.>
<Tu sei bellissima. E sei mia>, altra spinta <solo mia.>
<Sono solo tua. E tu sei solo mio. Appartieni a me.>
<Solo io e te.>
Continua a cavalcarmi e come già è successo diverse volte veniamo insieme.
La abbraccio e la faccio distendere su di me.
Non voglio che se ne vada.
<Ti amo. Non rovinare tutto.>
<Non posso promettertelo. Ma posso dirti che qualunque cosa accada mi troverai sempre accanto a te. Ti basterà allungare la mano. Posso dirti che per te farei di tutto. Brucerei il mondo per te. Solo per te. Che comunque vadano le cose sarai stata la parte più bella della mia vita.>
Allunga il viso verso di me e mi bacia in modo lento e dolce.
Vorrei fermare il tempo.
Ho il terrore che un giorno, non molto lontano, tutto questo mi sarà portato via.

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