55.Sofia

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Chiusi con uno strattone la porta della stanza alle mie spalle e mi accasciai contro di essa, scivolando lentamente fino a sedermi per terra. Le lacrime scendevano senza tregua, bagnandomi il viso e bagnando il pavimento sotto di me. Stringevo le ginocchia al petto, cercando di contenere il dolore che mi lacerava. Sentivo un dolore acuto al cuore, come se fosse stato trafitto da un pugnale invisibile. Era impossibile accettare la verità: tutto era stato una bugia. La nostra storia, il suo amore per me, ogni singolo momento condiviso. Era tutto finto. Mi sentivo tradita e umiliata, come se mi avessero strappato il cuore e lo avessero ridotto in mille pezzi.

In un impeto di disperazione, lanciai il mio telefono lontano, sentendo il peso della realtà schiacciarmi. Le mani mi tremavano mentre mi coprivo il viso, singhiozzando con forza. Mi aveva uccisa, mi aveva letteralmente distrutta. Le sue parole d'amore, che poco prima mi avevano scaldato il cuore, ora sembravano un inganno ancora più crudele. Mi chiedevo se avesse mai provato davvero qualcosa per me o se ogni bacio e ogni sguardo fosse solo parte di un gioco. Mi sentivo come se avessi perso una parte fondamentale di me stessa.

Con un movimento lento e pesante, mi alzai dal pavimento e mi distesi sul letto. Afferravo le lenzuola con una forza disperata, come se potessero assorbire tutto il mio dolore. Continuavo a piangere, senza alcuna speranza di tranquillità, fino a che, esaurita dalla stanchezza e dal dolore, il sonno prese il sopravvento.

Tre settimane dopo

Il tempo sembrava essersi dilatato in queste tre settimane di angoscia. Ogni giorno era stato una lotta per non sprofondare nel vortice della tristezza. Oggi, finalmente, avrei lasciato l'ospedale. Ma l'idea di tornare nella casa dove tutto era iniziato mi faceva sentire un peso insopportabile sul petto.

"Sofi, sei pronta?" chiese Marlene, entrando nella stanza e cercando di farmi uscire dai miei pensieri oscuri.

"Mh Mh," risposi, annuendo debolmente. Presi la mia borsa e mi avviai verso l'uscita, ma prima dovevo firmare le dimissioni. Quando finalmente fui seduta nell'auto, il ricordo di quel veicolo mi travolse: gli sguardi che avevamo condiviso, la sua espressione di disprezzo. Chiusi gli occhi, cercando di allontanare quel pensiero doloroso.

"Mi dispiace per quello che è successo tra voi," disse Marlene con tono sincero.

"Possiamo non parlarne?" chiesi, forzando un sorriso. Ogni volta che affrontavo l'argomento, la mia mente era invasa da una marea di emozioni. Marlene accettò, rispettando la mia richiesta e portandomi a casa. Appena misi piede nella mia casa, il profumo familiare mi avvolse, ma non c'era traccia di lui. Perché continuavo a cercarlo, anche se sapevo che mi faceva solo male? Che problema avevo?

"Gabriel è andato via di casa dopo l'incidente. Ha affittato un appartamento tutto suo," spiegò Marlene, come se avesse letto nei miei pensieri.

"Non mi interessa più quello che fa o non fa," risposi con una freddezza che non avevo mai provato prima, e salii in camera mia. Era passato un mese da quando non avevo più pianto. Forse il mio corpo si era prosciugato o forse semplicemente non riuscivo a trovare più la forza per farlo. Non ero più la persona che ero stata. Non ero più quella ragazza solare e spensierata di qualche settimana fa.

Mentre sistemavo le mie cose nell'armadio, il mio telefono squillò. Era Amanda.

"SoSo, che ne dici di venire a una festa stasera? Così ti rilassi un po'." Non sopportavo quando mi chiamava così, con quel soprannome infantile.

"Non sono molto in vena di andare a una festa," risposi, sentendo il nodo in gola stringersi.

"Dai, non puoi lasciarmi sola. Sai che poi mi ubriacherò e mio fratello mi romperà le palle. È tornato," disse, supplicante.

Endless 1 (COMPLETA) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora