Poche ore prima...
Ancora non riuscivo a credere a quello che mia madre stava per fare.L'idea di adottare una ragazza mi sembrava surreale, quasi assurda. Rimasi a fissare il paesaggio attraverso la finestra della mia stanza, la mente in tumulto e il cuore pesante di rabbia. Era una reazione viscerale, non dovuta a gelosia, ma a una sensazione di esclusione. Non avevo mai avuto un legame particolarmente forte con i miei genitori; l'unico che consideravo autentico era quello con mio padre. Ero furioso non perché avessi qualcosa contro quella ragazza, ma perché avevano preso una decisione così importante senza neppure consultarmi. Non eravamo una famiglia? Eppure, in quel momento, mi sentivo completamente invisibile, come se la mia presenza fosse irrilevante.
La voce di mia madre mi strappò dal vortice di pensieri inquietanti. "Gabriel, sei pronto?" Chiamò dal piano di sotto, con una certa urgenza nella voce.
"Sì, mamma, arrivo," risposi, cercando di mantenere un tono controllato. Indossai una maglietta bianca e la mia giacca di pelle nera, cercando di darmi un'ultima sistemata ai capelli davanti allo specchio. Ogni movimento mi sembrava meccanico, come se stessi recitando una parte in una commedia che non avevo scelto.
Quando scesi in salotto, mia madre era già al settimo cielo. "Non vedo l'ora di incontrarla di persona! Sono così emozionata!" Esclamò, con gli occhi brillanti di una gioia che mi sembrava incomprensibile. Non potevo fare a meno di alzare gli occhi al cielo, mentre l'irritazione cresceva in me. La sua euforia contrastava troppo con il mio stato d'animo.
"Possiamo andare?" Chiesi, cercando di mantenere un tono neutro ma tradendo un chiaro fastidio.
Mia madre si avvicinò a me, le mani giunte in un gesto supplichevole. "Gabriel, ti prego, non farti riconoscere. So che avremmo dovuto parlartene prima, ma lei non ha colpa. È solo una bambina che cerca una nuova casa."
Inarcai le sopracciglia, incredulo di fronte alla sua apparente leggerezza. "Non ho mai dato la colpa a lei, ma lasciami almeno sentirmi a disagio. Non è che ogni giorno si accoglie una sconosciuta in casa e si spera che tutto vada bene senza intoppi."
"Lo so, lo capisco," rispose con una voce più dolce, quasi implorante. "Ho sempre desiderato una figlia, e dopo aver perso Jasmine prima che compisse quattro anni, è come se una parte di me fosse rimasta vuota. È un dolore che non riesco a superare."
Risi nervosamente, incapace di trattenere la mia frustrazione. "E io come dovrei sentirmi? Come se Jasmine potesse essere sostituita da una sconosciuta che arriva dall'oggi al domani? Il mio dolore, per la perdita di una sorella, non è meno importante del tuo solo perché eri sua madre." Avevo bisogno di liberarmi di quel peso, anche se sapevo che le mie parole avrebbero colpito profondamente.
Senza attendere una risposta, uscii di casa. Salendo in macchina, mi appoggiai al finestrino, il paesaggio che scorreva intorno a me come un film che non volevo guardare. Arrivammo infine all'orfanotrofio, un edificio imponente con un cancello nero che ci accoglieva. Una signora dai capelli bianchi e corti, vestita con una divisa nera, ci fece segno di entrare. I miei genitori scesero dall'auto con entusiasmo, ma io rimasi dentro, cercando di distrarmi con il telefono. Le voci provenienti da fuori mi distrassero e, quando sollevai lo sguardo, la vidi.
La ragazza che stavano per adottare aveva capelli castani che le cadevano morbidi sulle spalle, e una pelle chiara che sembrava quasi luminosa sotto il sole. Indossava un maglione bianco e una gonna nera che metteva in risalto le sue gambe snelle. Quando i nostri sguardi si incrociarono, avvertii un nodo alla gola. Era davvero bella. Distolsi lo sguardo subito, cercando di non pensare alla sensazione di disagio che mi provocava.
Sentii il rumore dello sportello e, attraverso il finestrino, la vidi entrare. I suoi occhi verdi, intensi e lucenti come smeraldi, mi scrutarono per un momento, facendomi venire i brividi lungo la schiena. Notai le lentiggini che punteggiavano il suo naso delicato e le sue labbra carnose e rosee che catturarono il mio sguardo.
"Sofia," disse timidamente, quasi sussurrando.
"Gabriel," risposi, con un tono di voce che non riuscivo a interpretare. Mi sistemai sul sedile, evitando di incrociare il suo sguardo. Il tragitto verso casa lo passammo in un silenzio imbarazzante, dove ogni rumore sembrava amplificato e ogni pensiero troppo ingombrante.
Quando finalmente arrivammo al nostro vialetto, la osservai mentre la casa si rivelava ai suoi occhi. I suoi occhi si illuminarono, una scintilla di meraviglia nel suo sguardo. Mi avvicinai con sarcasmo, come era mia abitudine. "Mai visto una casa prima d'ora?" Le chiesi.
Lei mi lanciò uno sguardo per nulla amichevole e, con un gesto deciso, aprì lo sportello dell'auto e uscì. La seguii, aiutando mio padre con le valigie, mentre Sofia continuava a guardarsi intorno come se fosse entrata in un mondo del tutto nuovo.
"Tesoro, perché non aiuti Sofia con le valigie?" Mi chiese mia madre con un tono affettuoso ma imperativo.
La guardai male, ignorando completamente la sua richiesta, e mi diressi verso la mia camera. Mi sembrava ingiusto dover aiutare una sconosciuta quando, a mio avviso, poteva cavarsela benissimo da sola. Entrai nella mia stanza e sbattei la porta dietro di me, buttandomi sul letto con le braccia appoggiate sulla fronte, mentre cercavo di capire come accettare tutta questa situazione.
Quando giunse l'ora di pranzo, mia madre mi chiamò. Mi alzai controvoglia, scendendo le scale con i gradini che cigolavano sotto i miei piedi. Entrai in cucina e trovai mia madre visibilmente arrabbiata.
"Gabriel, non osare più ignorarmi in quel modo," mi rimproverò. "Non ti ho educato così. Ora, visto che non hai voluto aiutare Sofia, almeno vai a dirle che il pranzo è pronto."
"Perché dovrei andarci io?" Chiesi, irritato.
"Perché sì, e perché hai ignorato Sofia prima. Muoviti," disse con tono categorico.
Sbuffai e mi avviai verso la mia camera, non volendo avere niente a che fare con quella situazione. Obbedii a mia madre, facendo rumore con i passi mentre salivo le scale.
Entrai nella camera di Sofia, affacciandomi con riluttanza. La stanza era decorata con carta da parati floreale e un odore di fresco. Mia madre aveva pensato a tutto, sistemandole la camera con molta attenzione.
"Dobbiamo andare a pranzo," dissi, appoggiato sulla soglia. Il mio sguardo cadde su un peluche che si trovava sul letto. Era un camaleonte.
"Cos'è questo...Rapunzel?" Chiesi sarcastico, usando un soprannome che avevo pensato per lei, in riferimento al pupazzo.
Si avvicinò bruscamente, e io sollevai il peluche più in alto per tenerlo lontano. Era molto più bassa di me.
"Lascialo," disse, cercando di afferrarmi la manica della maglietta.
"Lo vuoi? Allora prendilo," risposi, scuotendo il peluche con il braccio sollevato. La sua espressione divenne seria e determinata. Quando finalmente si calmò, presi il peluche e glielo strofinai sul viso.
"A Rapunzel non piace che si tocchino le sue cose?" Chiesi con un sorriso maligno.
"Ma allora sei intelligente? Non pensavo fossi così intuitivo," rispose, strappandomi il peluche di mano e rimettendolo sul letto. Poi andò verso le scale, ma io la fermai, afferrandola per il polso. "Non ti conviene, credimi. "
Rimasi a guardarla mentre scendeva le scale. Sofia scese le scale con un passo quasi incerto, ma determinato a non mostrarsi debole. Si sedette a tavola, sistemandosi con cura e mettendo in ordine il suo posto. Io mi limitai a osservarla, la mia irritazione non era ancora svanita. Mia madre aveva preparato un pranzo che sembrava delizioso, ma il mio appetito era completamente scomparso. Era come se l'idea di avere Sofia in casa mi avesse prosciugato ogni forma di desiderio di mangiare.
"Non hai fame, principessa?" Chiesi sarcastico, osservandola mentre giocava con la forchetta, spostando gli spaghetti da un lato all'altro del piatto. Anche lei non mangiava.Il suo sguardo si sollevò e incrociò il mio, mostrando una scintilla di ribellione.
"Non molto," rispose lei con un sorriso forzato rivolto a mia madre, mentre tentava di apparire cortese e grata. La situazione era diventata fastidiosa. La mia irritazione non era solo per la presenza di Sofia, ma anche per la sensazione di essere stato messo da parte, come se tutto dovesse adattarsi a lei senza alcun riguardo per i miei sentimenti.
"Mamma, questa sera ho intenzione di andare al compleanno di Manuel. Tornerò tardi," annunciai, sperando di sembrare indifferente, anche se dentro di me ero tutt'altro che tranquillo.
Mia madre mi guardò con un'espressione che non prometteva nulla di buono. "Perché non porti anche Sofia con te? Così avrà l'opportunità di conoscere persone nuove."
Quella proposta mi colse di sorpresa, e quasi sputai l'acqua che stavo bevendo. "Non se ne parla nemmeno," risposi, cercando di mantenere un tono fermo mentre mi asciugavo le labbra con un fazzoletto.
"Invece sì, lei verrà con te," dichiarò mia madre con una determinazione che non lasciava spazio a repliche. La mia testa scivolò verso il piatto, mentre cercavo di nascondere il mio disappunto.
La sera arrivò e mi preparai per la festa, cercando di rilassarmi con una doccia lunga e calda. Indossai una maglietta bianca semplice abbinata a una giacca di pelle. Quando scesi le scale, non vidi Sofia in giro. Presi un momento per bussare alla sua porta e verificare se fosse pronta.
"Allora? Ti sei preparata?" Chiesi, aprendo leggermente la porta e sbirciando dentro. Notai che indossava ancora il pigiama, un segno evidente del suo disinteresse per l'uscita.
"Non vengo," rispose con tono deciso, "Non mi va di andare in un posto dove non sono desiderata."
"Fai come vuoi," replicai, lasciando la stanza e scendendo le scale. La mia frustrazione era palpabile, ma non avevo voglia di litigare ulteriormente. Salutai i miei genitori e uscii di casa, entrando nella mia auto. Il percorso verso il locale dove si teneva la festa fu un misto di pensieri angoscianti e preoccupazioni non dette.
Arrivato al locale, parcheggiai l'auto e mi diressi verso l'ingresso. Manuel, il mio amico di lunga data, mi accolse con un grande sorriso. "Finalmente sei arrivato, amico!"
Lo salutai con una stretta di mano e insieme entrammo nel locale. La serata procedette con un flusso di musica e conversazioni, e io mi dedicai a bere, cercando di stordirmi per dimenticare il caos che avevo lasciato a casa. Verso la fine della serata, l'alcol aveva preso il sopravvento, e non riuscivo più a mantenere l'equilibrio.
"Amico, credo che dovrò accompagnarti io. Sei completamente ubriaco," disse Manuel, preoccupato per le mie condizioni.
"Ma che dici? Sono sobrio," risposi, con le parole che uscivano in modo confuso e poco chiaro.
"Sì, amico, lo sei proprio. Andiamo, domani ti riaccompagno a prendere l'auto," spiegò, mentre ridendo mi aiutava a salire nella sua BMW grigia.
Manuel mi riportò a casa e poi se ne andò. Barcollai fino all'ingresso, ogni passo era una sfida. Urtai contro un mobile vicino alla porta, rischiando di cadere. Guardai il mio riflesso nello specchio, l'immagine di me stesso appariva distorta e confusa. Notai che la luce della cucina era accesa e cercai di raggiungere le scale. Ma, mentre mi muovevo, la mia gamba urtò contro un altro mobile, facendo scattare un dolore acuto.
"Cazzo, che male!" Esclamai, toccandomi la gamba con un'espressione di dolore sul volto. In quel momento, percepii un profumo dolce e avvolgente e voltai lo sguardo per vedere Sofia avvicinarsi. Il suo profumo era inebriante, quasi rilassante, e mi colpì profondamente, facendomi dimenticare per un attimo il dolore.
Si avvicinò con uno sguardo preoccupato, e la sua presenza, in quel momento, sembrava portare una certa forma di consolazione. Mi guardò con un'espressione che mescolava empatia e curiosità, e io, nonostante il mio stato, non potei fare a meno di notare la gentilezza nei suoi occhi.
"Stai bene?" Chiese con un tono più morbido del solito, avvicinandosi ulteriormente.
Mi limitai a emettere un mormorio di risposta, la mia mente era ancora annebbiata dall'alcol e dalla confusione. "Sì, solo un po' di dolore. Niente di grave."
Si avvicinò cautamente mentre io tentavo di sistemarmi sul divano. Il dolore alla gamba era fastidioso, ma non volevo ammettere quanto fosse grave. La sua presenza accanto a me era un misto di fastidio e riluttanza, ma non avevo molta scelta se non accettare il suo aiuto.
"Non pensare che questo cambi qualcosa." Dissi, cercando di mantenere una certa distanza emotiva. "Non significa che tutto diventerà migliore improvvisamente."
Sembrava leggermente ferita dalle mie parole, ma cercò di mantenere un atteggiamento composto. "Non sto cercando di cambiare nulla. Sto solo cercando di aiutarti."
"Non credo di aver bisogno della tua pietà," replicai, cercando di essere distaccato. "Non è che il tuo arrivo qui cambi molto per me."
Lei non rispose subito, ma si mise a sistemarmi in una posizione più comoda con una calma che contrastava con la mia irritazione. "Forse non hai capito, non mi interessa cosa tu pensi di me." Disse, con un tono che trasmetteva sincerità. "Sono qui perché i tuoi genitori mi hanno scelto o me ne sarei stata li tranquillamente."
Continuò a sistemare il danno che avevo fatto e a prendersi cura di me senza dire altro. Quando mi alzai, Sofia era ancora intenta a fare ordine. Mi avvicinai a lei, osservandola mentre sistemava. "Non devi sentirti obbligata a fare tutto questo." Dissi, cercando di attenuare il tono duro. "Non mi sento obbligata." Rispose lei, mantenendo la calma. La serata trascorse senza altri grandi scontri.Angolo Autrice ✍️🤍
Cosa succederà tra loro? Se è la prima volta che lo leggete prima di continuarlo fate pure le vostre supposizioni, vorrei sapere i vostri pareri🤍
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Endless 1 (COMPLETA)
Teen Fiction🚨 QUESTA STORIA È COPERTA DA COPYRIGHT PER CHIUNQUE TENTERÀ DI PLAGIARLA CI SARANNO CONSEGUENZE LEGALI🚨 Sofia non aveva mai conosciuto l'amore, solo il tormento di un segreto che la consumava. Credeva di poter essere l'eccezione, di vivere qualcos...