25. Gabriel

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Decisi di perdonare mia madre dopo aver ascoltato attentamente la sua versione della storia. Le sue parole, cariche di sincerità e rimpianto, mi aiutavano a comprendere le sue motivazioni e i suoi errori. Era chiaro che, anche se aveva commesso degli sbagli, il suo intento non era mai stato quello di farmi del male. Con il passare del tempo, la mia rabbia stava lentamente scemando e sentivo che il peso della delusione si stava alleggerendo.

"Gabriel, ti prego, non arrabbiarti con lui. Sai che ti vuole bene," implorò mia madre, il viso segnato dalla stanchezza e dalle lacrime che non riusciva a trattenere. Il tono della sua voce era una miscela di supplica e sconforto.

"Non lo farò, mamma, tranquilla. Adesso riposa," risposi con un sorriso gentile, accarezzandole delicatamente il capo e facendola sdraiare sul divano. C'era un motivo reale per cui non mi aveva detto nulla, e ora che avevo ascoltato la sua spiegazione, le sue azioni mi sembravano più comprensibili.

Con un senso di determinazione, mi recai alla porta di Sofia, bussai e attesi pazientemente. Quando la porta si aprì, fui accolto dai suoi occhi verdi luminosi e dal sorriso che sapevo essere sincero e accogliente.

"Volevo solo dirti grazie," dissi, cercando di mantenere un tono naturale. Non ero abituato a esprimere gratitudine e il mio orgoglio spesso mi impediva di farlo apertamente.

"Come scusa? Non ho sentito," rispose Sofia, avvicinandosi e mettendo l'orecchio vicino alla mia bocca, come se volesse cogliere ogni sfumatura delle mie parole. Le presi delicatamente il viso tra le mani e la baciai con tenerezza, le labbra che si toccavano con dolcezza.

"Grazie, Rapunzel," mormorai tra i baci, introducendo delicatamente la mia lingua nella sua bocca. La sentii ansimare, un chiaro segno della sua partecipazione emotiva.

"Vai a prepararti, voglio portarti in un posto," dissi con un sorriso, felice delle sorprese che mi stava riservando. Sentivo che era un'occasione speciale per mostrarle quanto la apprezzassi.

"Ancora?" chiese, sorridendo e mostrando un entusiasmo che mi faceva piacere.

"Beh, se non vuoi, non fa nulla," risposi, facendo la finta offesa per un momento.

La baciai di nuovo, mordicchiando il suo labbro inferiore. "Quando sei offesa sei più bella. Vado a prepararmi," dissi, scuotendo il capo e dandole un colpetto affettuoso sulla spalla.

"Sbrigati," ordinò, con un tono che non ammetteva discussioni. Sapevo che era impaziente, ma il suo atteggiamento mi divertiva.

Entrai nella mia stanza e mi vestii con una camicia di jeans sopra una maglia bianca semplice. Mi sistemai il ciuffo con cura e, una volta sceso le scale, trovai Sofia che mi aspettava con una bellezza radiante. Mentre mia madre dormiva ancora, le diedi un bacio veloce e uscimmo insieme.

Durante il tragitto, il mio telefono continuava a squillare incessantemente. Guardai il display: era Ginevra. Il suo nome era associato a un sentimento di disagio che non riuscivo a ignorare.

"Perché Ginevra ti chiama?" chiese Sofia, visibilmente confusa e preoccupata per il mio comportamento.

"Beh, è la mia ragazza. Vorrà sentirti, penso," risposi, spegnendo il telefono per evitare ulteriori spiegazioni e discussioni. Non volevo che Sofia si sentisse trascurata o poco importante.

"La tua ragazza? Lo sa di noi?" chiese Sofia, con un tono che tradiva il suo disagio e la sua incertezza.

"Sofia, non c'è nessun 'noi'. Non siamo una coppia, non stiamo insieme. Noi due non siamo nulla," dissi, parcheggiando l'auto con una certa rigidità. Il mio intento era chiaro, ma il mio tono era più freddo di quanto avrei voluto.

"Hai ragione, non siamo nulla," replicò Sofia, scendendo dall'auto con un velo di tristezza negli occhi. Il suo sguardo tradiva una delusione che non riuscivo a ignorare, ma ero convinto che fosse il modo migliore per evitare complicazioni future.

Ci dirigemmo verso la casa di Theo, che ci accolse con un calore che contrastava con il gelo che avevo dentro. Entrai nella casa di Theo, dove il buio avvolgeva la stanza. Improvvisamente, le luci si accesero e un coro di "SORPRESA!" esplose nella stanza, riempiendo l'aria di entusiasmo e allegria.

"Auguri, amico!" esclamò Theo, dandomi una stretta calorosa e sincera che cercava di sollevarmi l'umore.

"Buon compleanno, bro," aggiunse Manuel, abbracciandomi con affetto. Il calore dei suoi amici era una consolazione, ma non riusciva a dissipare completamente il mio malessere.

Nel mentre, notai Sofia salire al piano di sopra con Alejandro al seguito. La scena mi infastidì profondamente. Alejandro era un ragazzo di valore, ma vedere Sofia con lui mi dava un senso di inadeguatezza e gelosia. Cercai di ignorare il loro arrivo e continuai a conversare con gli ospiti, ma il mio sguardo era costantemente attratto dalla coppia. Ogni gesto affettuoso tra loro mi colpiva come un pugno nello stomaco.

Poi, Ginevra, con la sua chioma rossa e il suo atteggiamento seducente, si avvicinò e mi baciò con passione. "Buon compleanno, amore mio," disse, mentre io ricambiavo il bacio con un certo distacco, quasi controvoglia. Il mio pensiero era tutto per Sofia, e le sue labbra erano quelle che desideravo davvero baciarmi.

La vidi scendere mano nella mano con Alejandro, e il modo in cui lui la toccava e la accarezzava mi faceva esplodere di rabbia. Ogni gesto di intimità tra loro era come una ferita aperta, e il pensiero che lei glielo permettesse mi infastidiva enormemente.

Decisi di rifugiarmi in cucina e afferrai una bottiglia di vodka. Bevendo avidamente, avvolsi le spalle di Ginevra con un braccio mentre con l'altra mano continuavo a bere e a osservare Sofia e Alejandro. La bottiglia si svuotò rapidamente e, ormai ubriaco fradicio, lanciai la bottiglia a terra, facendola frantumare in mille pezzi. Guardai il mio riflesso nel vetro rotto e crollai sul divanetto del capannone, esausto e distrutto, e crollai in un sonno profondo.

La mattina seguente, il mal di testa era insopportabile. Avevo esagerato con l'alcol la notte prima e ora il mio corpo ne pagava il prezzo. Chiamai un taxi e, dopo una mezz'oretta, arrivò. Entrai in auto e diedi al tassista l'indirizzo di casa mia. Al mio arrivo, vidi mia madre uscire di casa, preoccupata e frustrata.

"Dove sei stato tutta la notte? Sofia ha preparato una festa a sorpresa per te e tu sparisci così?" mi rimproverò. Mi maledissi mentalmente. Ero stato davvero uno stronzo, incapace di apprezzare i gesti di chi mi voleva bene.

"Si, ok, dopo le chiederò scusa," risposi, entrando in casa con un senso di colpa crescente.

"Oggi resta a casa, ha la febbre, non darle fastidio," aggiunse, allontanandosi. Appena mi fu possibile, entrai in casa, trovando un silenzio tombale. Mi tolsi la giacca e andai nella camera di Sofia per controllarla. La osservai dallo stipite della porta: abbracciava il suo peluche mentre dormiva, il viso pallido e segnato da chiazze rosse. Era evidente che non stava bene. Chiusi la porta lentamente ed entrai nella mia stanza.

L'unico modo per allontanarla da me era lasciarla andare. Con Alejandro sarebbe stata felice, anche se vedere la loro intimità mi dava fastidio. Alejandro era un bravo ragazzo, l'opposto di me, e non l'avrebbe mai fatta soffrire. Io, invece, rischiavo ogni giorno di farle del male e non era giusto per lei. Non potevo permetterlo. Se dovessi continuare a essere parte della sua vita, avrei solo causato dolore e complicazioni. Era meglio per entrambi se lasciavo andare il mio ego e i miei sentimenti o quello che erano.

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