{24° Capitolo}

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[Capitolo ventiquattro]

Jane

Un pallido sole risplende nel cielo limpido delle nove. Il parco non è tanto pieno come mi aspettavo. D'altronde è giovedì, e immagino che la maggior parte dei bambini sia a scuola e i loro genitori a lavorare. Ci sono solo qualche mamma con il passeggino, alcuni ragazzi che fanno jogging e degli anziani che passeggiano per i sentieri, giovandosi della fresca aria mattutina.

Mi sistemo dietro l'orecchio una ciocca di capelli che è riuscita a scappare dalla mia disordinata coda e mi avvicino il bicchiere di cartone alle labbra, assaporando l'odore del caffèlatte. Ne butto giù qualche sorsata e poi torno a guardare sullo schermo del mio cellulare la chat con mio fratello.

"Mamma vorrebbe sapere dove sei finita, nonostante le abbia già detto milioni di volte che sei viva e stai bene"

"Dille che sono emigrata in Alaska per combattere la caccia alle foche"

"Meglio di no. Sai com'è fatta: inizierebbe a darti dell'avvocato delle cause perse"

Mi metto a ridere come una scema, come se lui potesse sentirmi, e come se tutti gli altri, invece, non potessero. Sono sicura che anche lui stia ridendo, con quel sorriso meraviglioso che ha rischiarato ogni mia giornata.

"Stasera cercherò di farle uno squillo" rispondo, scorrendo velocemente il pollice destro sulla tastiera.

"Fallo, ti prego. Non ricordavo fosse così assillante, quando eravamo piccoli"

"Che memoria breve, Alan. Non va bene, sai?"

"Parla quella che si dimentica i nomi delle fidanzate del fratello"

"Non è colpa mia se hanno tutte nomi così... Normali. E poi è il mio cervello che rimuove quelle informazioni. Chissà, magari è un segno che devi cambiare standard"

"Illusa"

Non faccio in tempo a rispondere che mi arriva un altro messaggio.

"Davanti alla centrale. Tra un quarto d'ora. Non fare tardi. SH"

Arriccio le labbra, irritata. Poi finisco in un solo sorso il caffè e mi alzo dalla panchina del parco sulla quale ero seduta.

"Il dovere chiama. Ci sentiamo dopo"

"Non farti incantare dai suoi modi eleganti: quell'Holmes non mi convince"

"Holmes ha dei modi eleganti? Si vede proprio che non lo conosci"

"Perché, tu sì?"

"Ho da fare" cerco di sviare. "Ne riparliamo un'altra volta. Ti voglio bene"

"Anche io. Tieni gli occhi aperti"

Accenno un sorriso allo schermo, mentre blocco il cellulare. Alzo lo sguardo giusto in tempo per vedermi sorpassata da un uomo intento a fare jogging, che mi scompare alle spalle.

Afferro la busta con la fetta di crostata al limone che ho acquistato da Costa, mi avvicino ad un bidone per gettare il contenitore vuoto del caffè e poi mi avvio lungo il sentiero verso l'uscita del parco, con la mano libera nella tasca del cappotto.

In pochi, pochissimi minuti, mi ritrovo nel bel mezzo della città, brulicante della gente di Horsham che inizia a mettersi in moto, camminando per il marciapiede a testa alta, pronta a cominciare una nuova giornata. Le strade di Horsham mi ricordano qualcosa. Qualcosa di familiare, che continua a farmi tornare alla gola una strana sensazione, come quando si ascolta una canzone talmente nostalgica da far piangere. Magari, quest'atmosfera da "cittadina inglese al di fuori del mondo" mi ricorda tanto Nottingham. Adesso, comincio a pensare che mi manchi, nonostante non abbia fatto altro che attendere il momento per andarmene via e lasciarmi tutto alle spalle. Ogni cosa. Ora, voglio solo non ripensarci più. Quel posto mi ha portato via tante cose, tante occasioni, tante persone. Adoro Nottingham, è una città piccola e tranquilla, ma... Ho sentito, d'un tratto, il bisogno di cambiare. Ma ero troppo piccola per andarmene da sola, e troppo piena di fantasia, quindi ho solo aspettato l'età giusta per scappare dai miei ricordi, come Amèlie nel mio film preferito.

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