{57° Capitolo}

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"Sometimes life
just slips in
through a back door

and carves out a person
and makes you believe
it's all true.

And now I've got you...

And you're not
what I asked for."


-Sara Bareilles, "She used to be mine"

[Capitolo cinquantasette]

07 Agosto 2012

Alla fine, quando ha saputo della mia gravidanza, la mamma non era tanto arrabbiata o delusa come credevo che sarebbe stata. Anzi, direi che mi sembrava addirittura... Felice. Forse credeva che il bambino sarebbe diventato la ragione che mi avrebbe spinta a riprendermi del tutto e tornare a vivere. Quindi ti lascio immaginare quale sia stata la sua reazione, non appena le ho detto che lo avrei quasi certamente dato in adozione.

Ha iniziato a farmi la morale sul fatto che un figlio è un dono, che non lo si può dare via come se fosse un oggetto, che me ne sarei certamente pentita... Tutte cose che non avevo per nulla preso in considerazione ma di cui, in fin dei conti, non mi importava nemmeno granché.

Alan, invece... Alan, invece, è rimasto impassibile. Non ha detto nulla. Non ha commentato, giudicato, non mi ha consigliata. Mi ha solo lanciato una lunga occhiata torva, addirittura incolpante, poi si alzato dalla tavola, attorno a cui eravamo seduti tutti e tre assieme, ha afferrato al volo la sua giacca e se n'è andato via sbattendo la porta. Non so dove si sia recato. Non so cosa abbia fatto né con chi sia stato. Fatto sta che quando è tornato a casa, il giorno dopo, non mi ha per nulla rivolto la parola, e così per i due giorni successivi. E quel suo gesto mi ha ferita più di quanto avrebbe fatto un qualsiasi suo dissenso.

E, da allora, le nostre uniche conversazioni sono fatte così: di silenzio. Non parliamo, non ci confidiamo, non ci guardiamo negli occhi, non discutiamo nemmeno. Nulla. Solo vuoto, una fessura incolmabile che si allarga sempre di più, sempre di più... Fino a quando non ha raggiunto quello che io definisco il culmine della nostra rottura. Perché conosco mio fratello. Conosco i suoi pregi e i suoi difetti, i suoi modi di ragionare, le sue convinzioni. E so anche che non sarà mai in grado di accettare diverse posizioni, a causa del suo ego che lo tiene incatenato ad un solo, irremovibile punto di vista: il suo.

Eravamo in macchina, io e lui, di ritorno da un appuntamento con un assistente sociale con il quale avevo discusso circa l'adozione. Gli avevo spiegato i miei motivi per cui avevo scelto quella soluzione e devo dire che era stato anche parecchio comprensivo. Molto più comprensivo di quanto fosse la mia famiglia.

Immagino che già soltanto accompagnarmi per un motivo del genere fosse, per Alan, causa del suo cattivo umore. D'altronde, sebbene non me lo avesse mai fatto presente in maniera diretta, era ovvio che anche lui era della stessa opinione della mamma, nonostante quel bambino fosse il figlio di una delle persone che più odiava e disprezzava al mondo.

Il viaggio era stato silenzioso, come ogni altro luogo o momento in cui io e lui ci trovavamo da soli. Forse è per questo che, una volta parcheggiata la macchina davanti all'entrata del garage di casa nostra, mi slacciai rapida la cintura ed aprii la portiera, pronta a balzare fuori e correre via da quell'aria che mi toglieva il fiato.

«Non devi farlo per forza»

Mi bloccai, le dita ancora attorno alla maniglia, il piede già fuori, posato sul selciato del vialetto di casa. Il suono improvviso della sua voce mi fermò, e mi stupì. Come se mi fossi già abituata all'idea che non avremmo più parlato, noi due.

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