{39° Capitolo}

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[Capitolo trentanove]

Jane

Fisso insistentemente l'orario lampeggiante della sveglia digitale, come se potessi cambiarne i numeri con la sola forza dello sguardo. Per ben sette minuti non ho fatto altro che rigirarmi tra le coperte, mettendomi prima su un lato, poi sull'altro, a pancia in su, in giù, abbracciata al cuscino, finché non sono balzata a sedere, con fare infastidito. Vorrei che arrivi subito l'alba, cosicché possa alzarmi e muovermi senza il rischio di svegliare qualcuno. Invece, non posso fare altro che osservare la sveglia fino a stufarmi e poi continuare a guardarmi intorno senza posare gli occhi su niente in particolare, soprattutto a causa del buio nella stanza. Un solo, debole raggio di luna, accompagnato dalla luce dei lampioni, trapela attraverso le tende chiuse. Mi volto verso Amy, che dorme beatamente con le coperte tirate fin sopra al mento, ed inizio a scuoterla per un braccio.

«Amy?» sussurro. «Amy?»

Lei, per tutta risposta, si gira dall'altra parte, con un mugugno assonnato, ignorando completamente la mia richiesta di attenzioni.

Prendo un profondo respiro e, mentre lo lascio andare, mi tolgo le lenzuola di dosso con un solo gesto della mano, alzandomi poi dal letto. Un brivido mi attraversa la schiena, quando i miei piedi toccano il pavimento freddo. È in momenti come questo che mi ricordo di dover comprare uno scendiletto...

Barcollando nel buio, arrivo in cucina e incomincio a tastare il muro, fin quando non trovo l'interruttore e lo premo. La luce improvvisa mi acceca, facendomi strizzare gli occhi finché non mi abituo al chiarore nella stanza. Non appena riesco a mettere a fuoco il tavolo, i fornelli, i pensili e tutto il resto, mi avvicino al lavandino, prendo il bollitore dallo scolapiatti, lo riempio d'acqua fino a metà, lo metto sul fuoco alto e mi butto su una sedia, dopo averla tirata verso di me. Aspetto il familiare fischio del bollitore con la testa appoggiata ad una mano, il gomito sul tavolo, le labbra curvate di lato e lo sguardo basso, tentando di riordinare le idee e ricordare qualcosa che il mio inconscio mi dice di dover dimenticare.

Baker Street, Londra, Inghilterra•15 Gennaio 2012

«John, ho un problema»

Il sole, su Londra, era appena tramontato, lasciando sulla città una sottile striscia di luce arancione, quando Sherlock si ritrovò con il cellulare attaccato all'orecchio a chiedere aiuto a John su qualcosa che non aveva niente a che fare con uno dei loro casi.

«No, non dirmelo...» mormorò l'amico dall'altra parte della linea, con il tono di chi sa già cosa aspettarsi. «Hai infranto un'altra volta qualche legge e stanno per arrestarti di nuovo»

«Cosa? No!» esclamò Sherlock, stizzito. «No, si tratta di Jane»

«Jane?» ripeté il dottore. «Cosa le hai fatto?»

«Niente» rispose il detective, come se stesse cercando di non sbottare. «Si è addormentata»

«Ah» fece John, per poi rimanere per qualche secondo in silenzio. «E allora?»

«Si è addormentata in macchina»

Un'altra pausa. «Continuo a non capire»

«Io sono in macchina con lei»

Non appena pronunciò quelle parole, Sherlock poté quasi vedere lo sgomento prendere posto sul volto dell'amico. «Voi due uscite insieme?!»

«È per un caso, John» specificò il detective, sospirando. «Cosa devo fare?»

«Beh, svegliarla, direi» gli consigliò il dottore, in tono ironico.

«Ha preso un sonnifero: dormirà per almeno dieci ore»

222B, Baker StreetDove le storie prendono vita. Scoprilo ora