{68° Capitolo}

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[Capitolo sessantottesimo]

Sherlock

La luce che dalle mie spalle entra di taglio in Baker Street filtra attraverso la polvere sollevata da tappeti e suppellettili rimasti lontani dall'arnese piumoso della signora Hudson poiché vittime per due mesi della mia crescente follia. Attraverso di essi, come attraverso una foschia, riesco a vedere John, e comunque senza vederlo davvero. Siede alla sua poltrona, beve tè da una tazza a pallini colorati, e per un attimo mi illudo che tutti sia tornato a come era prima, e che questo mio sacrificio, o sedicente tale, sia davvero valso a qualcosa. Ma lo so che non è così, lo capisco da quel sorriso di circostanza e cortesia che mi rivolge da tutto il giorno. In realtà so che non vede l'ora di andarsene.

«Molly sarà qui tra venti minuti» dice infatti, controllandosi l'orologio.

«Credo di poter resistere venti minuti senza supervisione»

Abbozzo anche io ad un sorriso, tentando di abbassare la tensione. Non funziona, perché quello di John scompare.

«Ne sei sicuro?»

Il dottore nasconde la sua espressione scontrosa dietro la tazza, beve un sorso e poi la posa sul tavolino alla sua destra.

«Scusa, è che...» continua poi, accennando ad alzarsi. «Sai, Rosie»

Socchiudo gli occhi e scuoto un attimo la testa. «Sì, certo, Rosie»

«Te la caverai per venti minuti?»

«Sì, sì» ripeto, e faccio di nuovo oscillare la testa. «Scusami, non stavo pensando a Rosie»

Talmente mi sono illuso che tutto fosse tornato come una volta che nemmeno mi sono ricordato di un elemento così fondamentale, un cambiamento tanto stravolgente. Basta pensare a lei, a Rosie, per rendersi conto che davvero niente sarà più come prima.

John si rizza, mi guarda dall'alto. «Tranquillo» dice, ma so che non lo pensa.

«Devo venire... A trovarla, presto»

«Sì»

Si avvicina alla porta, fa per uscire senza nemmeno voltarsi a salutarmi. Prima non lo avrebbe mai fatto, ma adesso... È tutto diverso.

«A proposito, la registrazione forse non sarà ammissibile»

John rientra nella stanza. «Scusa, come?»

«È stata estorta, quindi potrebbe non essere valida» spiego, lasciandomi sfuggire una risatina. «Non che abbia importanza, non ha più smesso di confessare»

«Perfetto»

Annuisco. «Già»

Il gelido distacco di John ben riesce a farmi capire che non importa cosa dirò, niente riuscirà a trattenerlo qui. Neanche il caso di Culverton Smith, il serial killer mascherato da filantropo, quello del piano per salvarlo da me e sé stesso. Ma non serve a niente, perché John mi guarda per un secondo solo, e poi si volta, pronto ad andarsene di nuovo. Lo fa, lo farà, ma io non posso permetterglielo. Non posso permettere che tutto rimanga lo stesso, che tutto cambi in peggio. Non dopo quello che ho fatto, quello che ho rischiato. Non posso farlo.

Guardo la tazza, poi di nuovo John, che ormai è fuori, e glielo chiedo.

«Stai bene?»

La mia domanda, ovviamente, lo fa scattare, come se l'elastico che teneva teso ogni suo muscolo nello stare qui, con me, si sia rotto e lo abbia lanciato in avanti verso la mia direzione. Ride amaramente mentre rientra nel salotto.

«Cosa?» chiede, retorico. «Io, no, non sto bene, non starò mai più bene, devo solo accettarlo. Le cose stanno così, e le cose fanno... Schifo»

Parla tutto d'un fiato, come se si fosse ripetuto queste parole a lungo nella testa, per capirle e poi accettarle. Anche lui deve averlo imparato in terapia, e già questa potrebbe essere considerata una conquista, il primo passo per smettere di ignorare il passato.

222B, Baker StreetDove le storie prendono vita. Scoprilo ora