{47° Capitolo}

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[Spazio Autrice]

AUGURI DI UN FELICE 2017! Io non aspettavo altro solo per la quarta stagione di Sherlock eheheh.

Ma come va, come va? È da un po' che non ci sentiamo. Avanti, ditelo che vi sono mancata :3

Spero abbiate passato un felice Natale (mi scuso se non mi sono fatta sentire, ma tra Pandoro e altro cibo a vagonate non ho proprio avuto tempo...)

Devo fare un'importante precisazione per quanto riguarda questo capitolo: una parte del merito va ad Altair0711, la mia meravigliosa Sherlock-Editor, che mi ha dato l'idea per questa parte della storia. Quindi volevo ringraziarla pubblicamente per quanto ha fatto. Ti voglio bene ❤

Il capitolo è bello forte. Spero non ci rimaniate troppo male :3

Un bacione (e passate una buona Befana e felici scleri per la quarta stagione).

~Maddy

[Capitolo quarantasette]

Jane

All'inizio era solo un'idea. Un'idea improponibile, se non inaccettabile. Era solo un'idea che, come tutte le idee, era solo una congettura, e io avevo il potere di negarla o di assecondarla. L'ho negata, strenuamente. Ho deciso di gettarla in un angolo e lasciarla lì, a marcire, consumarsi come la cera di una candela, spegnersi come una fiammella con un soffio di vento. Ma quell'idea, quella semplice congettura, ha cominciato ugualmente a tartassarmi. Si è infiltrata nei miei pensieri e, come un tarlo, si è fatta strada tra le mie convinzioni. Ha scavato a fondo, troppo a fondo, e la conclusione che ne ho tratto mi ha spaventata. Mi ha spaventato veder crollare tutte le sicurezze che avevo. Tutte. A causa di una sola congettura.

Ed è per questo che adesso sono qui, in una macchina che non è mia, nel buio di una strada che non conosco, illuminata solo dalla luce arancione dei lampioni, ad aspettare. Ad attendere che quell'idea diventi vera, che venga accertata. E che mi spezzi l'anima in minuscoli frammenti di vetro soffiato, ancora una volta.

Prendo un respiro, prima di lanciare una fugace occhiata all'orologio sul cruscotto. Mi metto a tamburellare con le dita sul volante, cerco una posizione comoda, accendo la radio, saltando da una stazione all'altra, la spengo, guardo di nuovo l'orario. Ed è passato solo mezzo minuto.

Sono le sei meno diciassette e mi trovo qui da due ore. Due interminabili ore di agonia e rimorsi, di tentativi nel cercare il mio punto d'errore. Di ripercorrere un cammino che speravo di aver dimenticato, nascosto sotto cumoli di bei ricordi, con cui avevo schiacciato quelli vecchi e dolorosi. Solamente ora capisco alla perfezione che quella parte della mia vita non potrà mai lasciarmi andare. Non potrà mai lasciarmi libera di vivere davvero. Non smetterà mai di inseguirmi in ciò che faccio, nelle mie scelte, di infestare i miei ricordi su quello che sono stata. E io, ovviamente, non riuscirò mai a farla fuori, a sconfiggerla come lei ha sconfitto ogni mia sicurezza in ciò che ho tanto sognato di diventare.

Il telefono vibra, sul sedile del passeggero. Io lo ignoro, ma quello torna a vibrare subito dopo, di nuovo e di nuovo, fino a farmi perdere la pazienza. Lancio una veloce occhiata allo schermo illuminato e leggo le poche righe che appaiono su di esso.

"Dove sei? S"

"Non fare la bambina e rispondi"

"So che hai letto"

"Jane, ho capito cosa hai intenzione di fare"

Deglutisco a fatica, tanto la mia bocca è secca. Rimango con gli occhi incollati al cellulare per almeno cinque minuti, nel vano tentativo di trattenere le lacrime.

222B, Baker StreetDove le storie prendono vita. Scoprilo ora