{40° Capitolo}

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[Capitolo quaranta]

Jane

«Niente?»

«Neanche una singola molecola» ribadisce Sherlock, scandendo bene ogni parola. «Penso che tu ti sia addormentata in macchina a causa dei ritmi delle tue giornate. A quanto sembra, non dormi abbastanza durante la notte»

Forse è vero. O, forse, è solo la giustificazione più credibile che ho a mia discolpa per motivare il mio comportamento.

Le luci dell'House of Parliament mi abbagliano, ma ormai i miei occhi si sono abituati al loro chiarore. In questo assoluto silenzio, riesco a sentire le onde del Tamigi che si accavallano le une sulle altre, in una continua gara a chi per prima raggiungerà la foce, mentre il freddo mi intorpidisce le mani.

«Alla fine hai trovato la borsa della vittima?» gli chiedo, appoggiando il mento sulle ginocchia.

Sherlock prende una boccata dalla sigaretta che stringe tra le dita, e che deve aver trovato per puro miracolo in qualche angolo nascosto della sua camera, tiene per un po' il fumo in bocca e poi lo lascia andare.

«Sì» risponde. «Ma niente da fare: anche le pillole che aveva con sé erano prive di Diazepam»

«Maledizione...» impreco, a voce bassa, con uno sospiro irritato. «Sarebbe stata una prova perfetta contro il marito...»

«Sì, l'ho pensato anche io» ammette lui. «Ma chiunque, con l'aiuto di qualche ignaro farmacista e tanta pazienza, sarebbe stato in grado di trovare la giusta dose e mischiarla all'Oxazepam»

Sospiro, appoggiando la testa al parapetto del ponte di Westminster, odorando il fumo della sigaretta e con lo sguardo rivolto al Big Ben.

«Sai che è la prima volta che lo vedo dal vivo?»

«È per questo che ti ho portata qui»

«Per farmi fare un giro turistico?» chiedo, ironica.

«Se vuoi chiamarlo così...» mormora lui, per poi prendere un'altra boccata.

«Ci vieni spesso?» gli domando dopo. «A quest'ora, intendo»

«Ogni tanto, quando devo pensare» risponde, facendo cadere la cenere dalla coda della sigaretta. «Però non è il posto che preferisco per stimolare la mia mente»

Alzo un angolo della bocca verso l'alto e il capo verso il cielo, ad osservare le stelle nascoste dalle luci della città.

«Sembra che tu conosca Londra alla perfezione» noto, senza distogliere lo sguardo. «Da quanto tempo vivi qui?»

Sherlock muove la testa verso di me. «Perché questa domanda?»

«Beh, io ti ho raccontato la mia vita noiosa, tanto vale che anche tu mi racconti qualcosa di te»

«E perché dovrei?»

«Perché sono quasi le tre di notte, siamo seduti sul ponte di Westminster, hai parcheggiato la mia macchina in modo tale da farmi prendere sicuramente una multa e perché sono curiosa» rispondo, elencando le mie argomentazioni tutto d'un fiato, dopo aver poggiato la mia guancia sulle ginocchia per guardarlo meglio.

Lui sospira, finisce la sigaretta e la butta a terra, schiacciandola poi sotto la suola. «Da quando ho finito gli studi ad Oxford, sette anni fa» risponde infine, dopo aver fatto volare verso l'alto il fumo. «Non ho la minima idea per cui mi sia laureato, dato che ho sempre trovato i corsi universitari piuttosto semplici e noiosi, ma i miei genitori ci tenevano che io avessi un titolo di studi, quindi...» Si stringe nelle spalle, come per accentuare la semplicità della cosa. «Non appena mi sono trasferito qui, non conoscevo nessuno, oltre a mio fratello, ma non me ne preoccupavo più di tanto. Ho trovato un piccolo appartamento a Montague Road e da lì ho cominciato il mio lavoro di consulente. Sono riuscito a farmi un nome in poco tempo»

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