{53° Capitolo}

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[Capitolo cinquantatré]

Sherlock

«Allora buona fortuna»

«No!»

Il boato provocato dallo sparo esplode nell'aria, perdendosi attorno a me. Faccio un balzo indietro, le orecchie che mi fischiano, lo sguardo fisso sul corpo inerme di James Moriarty, riverso a terra. Il sangue, denso e scuro, gli esce da dietro la nuca, in una linea sottile che si allontana velocemente dalla sua testa, il volto ancora fermo nel suo solito ghigno, l'ultimo.

Mi allontano, facendo un passo indietro, mentre un'onda di panico mi investe in pieno. Nel corso della mia vita, raramente mi ha fatto qualche effetto vedere qualcuno morire davanti ai miei occhi. Sono sempre stato distaccato, lucido, logico. Ora no. Ora non ci riesco. Non faccio altro che girare su me stesso, le mani alla testa, mentre la mia mente non fa altro che pensare a tutte quelle persone che moriranno per colpa mia. Perché non sono riuscito a fermare James Moriarty. Penso alla signora Hudson, a Lestrade, John, Jane...

No. Jane è in salvo. L'ho già salvata prima ancora di sapere cosa sarebbe successo, per poter limitare i danni. Almeno lei è salva. Ma gli altri... Loro moriranno. Moriranno, se non faccio qualcosa. Ma cosa? Come posso salvare la loro vita? In che modo?

Giro. Come una trottola, giro. Il mio cervello gira insieme a me, alla ricerca di una soluzione. Ma più giro, più mi ritrovo sempre allo stesso punto, in questa circonferenza infinita che mi riporta sempre con lo sguardo lì, verso la fine del tetto. E più volte ci ritorno, più capisco che è quella l'unica risposta che potrebbe aiutarmi. L'unica e la sola.

'Vuoi salvare la vita dei tuoi amici? Bene. Allora sacrifica la tua'

Con lentezza, mi avvicino al cornicione. Vi poso prima un piede, poi l'altro. Salgo e subito guardo giù. Il mio respiro si velocizza, nel vedere l'enorme altezza che sto per affrontare. E la cosa è piuttosto strana, infantile addirittura. L'altezza non dovrebbe affatto spaventarmi. Non come i sentimenti. Non come l'indecisione, la nuova possibilità di provare dolore. Il fatto che qualunque cosa accada io non possa più tornare indietro.

La paura dell'altezza può essere superata. Devo superarla. Devo convincermi che non è niente, in confronto alla possibilità che i miei amici muoiano e che io provi dolore. Quel dolore di cui ho tanto sentito parlare, ma che non ho mai sperimentato in prima persona, e che non voglio sperimentare. Non ancora. Cadere non farà male. Tutto finirà in fretta. Devo solo buttarmi, attraversare per qualche secondo il vuoto, e poi sarà tutto finito. Non farà alcun male, lo so.

Dietro il parcheggio delle ambulanze, arriva un taxi che si ferma proprio in mezzo alla strada e dal quale scende John. Lo vedo chiudere la portiera e cominciare a camminare velocemente verso l'entrata. Tiene il telefono in mano, che poi si porta all'orecchio per rispondere alla chiamata che gli è appena arrivata: la mia.

«Pronto?»

«John...»

«Ehi, Sherlock, tutto bene?»

«Voltati e torna da dove sei venuto»

«Sto arrivando»

«Fa' come ti sto dicendo!» grido, e questo lo fa fermare. «Per favore»

«Dove?» chiede lui, voltandosi per ripetere il percorso a ritroso.

«Fermati lì» gli dico poi, una volta averlo visto raggiungere il punto esatto.

«Sherlock?» continua lui, con tono preoccupato, iniziando a guardarsi intorno, forse per cercarmi.

«Okay, guarda in alto: sono sul tetto»

222B, Baker StreetDove le storie prendono vita. Scoprilo ora