{48° Capitolo} - Nuova Versione

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"I can't stand myself and the all curse words that fall from my mouth.
I can't stand myself, or my legs as they run from the ones here to help.
But I just woke up with you next to me, some new air to breath and the belief that it's all gonna be alright.
I can't stand myself, but it's high time that we gave it a try,
and I think I'm gonna finally give myself a new try."

-Nate Ruess, "Great Big Storm"

[Capitolo quarantotto]

Jane

Ci sono stati due momenti, nella mia vita, in cui ho creduto che ogni cosa da me fatta, ogni azione compiuta, ogni sforzo sostenuto, fossero stati solo un inutile spreco di tempo ed energie. Sono stati due momenti strani e difficili, durante i quali sono arrivata a pensare di smetterla, di lasciarmi andare alla stanchezza, di non reagire più. Di non lottare più.

La prima volta, dieci anni fa, ero troppo piccola per rendermi conto di quello che provavo, quindi sono riuscita a riprendermi piuttosto in fretta. Ho dato ascolto a chi mi voleva bene, mi sono rialzata e ho ripreso in mano la mia vita, per farne quel che volevo, senza lasciare che le scelte sbagliate di altri mi facessero smettere di combattere.

Adesso è diverso. Non so esattamente in cosa, ma lo sento diverso. Forse è il mio modo di vedere che è cambiato, forse la situazione è cambiata. Forse sono le mie idee, forse sono io ad essere cambiata, ad essere cresciuta.

O forse... Forse è perché questa volta sono stata io a fare una scelta sbagliata.

E per questo mio errore, nelle ultime settimane non ho fatto altro che scappare dai ricordi, evitare luoghi e persone, correre via da chi era lì per aiutarmi. Come mio fratello che, nel corso dei giorni, ha sopportato con pazienza il mio comportamento chiuso e scontroso, che mi è rimasto vicino continuando a ripetermi che non ero costretta a fare tutto da sola, che non dovevo soffrire nel silenzio del mio cuore ormai vuoto. Sapevo benissimo che non ero obbligata, ma la verità è che... Ero io a non volere l'aiuto di nessuno. E tuttora, non voglio nessuno. Fuggo persino da me stessa, a volte, e dai miei tentativi di rimettere a posto il caos che si è creato dentro di me. L'unica cosa che non posso sul serio evitare sono i miei incubi. Vivi, forti, reali... Oh, quelli sì, che sono spaventosi. Quelli sì, che non smetteranno mai di rincorrermi e trovarmi, a discapito di tutto. Quelli sì, che saranno difficili da combattere.

E alla fine, a forza di fuggire, ho inevitabilmente rallentato. Durante queste settimane, ho evitato di rientrare nella mia casa di Baker Street, camminare per le stanze, vedere delle immagini e accorgermi troppo tardi che non erano reali. Ho rallentato, rimandando senza riuscire ad impedirmelo. Il tempo ha corso, mi ha superata, ed io non ho fatto nulla per raggiungerlo, perché riuscirci non mi importava. Ma sapevo bene di non poter rimandare per sempre, e anche se in certi istanti mi sentivo mancare il coraggio, alla fine sono tornata. Come un'anima errante, sono rientrata nel mio appartamento infestato dai ricordi e ho cominciato a vagare, passando da una stanza all'altra senza nemmeno rendermene conto, vedendo figure dove sapevo esserci un vuoto.

Ma, forse, tornare qui ha portato più fantasmi di quanti abbia cercato di fuggire, più dolore di quanto abbia tentato di evitare. Ed ora che mi ritrovo immobile sull'uscio della camera da letto, ad osservare un posto che abbiamo condiviso per mesi, a pensare che non ci ritroveremo mai più insieme qui dentro, sento una voragine aprirsi alla bocca dello stomaco. Si allarga, diventa velocemente più grande e profonda, poi risale, fino ad arrivarmi in gola. Corro in bagno, prima che sia più veloce di me, e mi piego sul water.

Vomito. Non so di preciso cosa dal punto di vista fisico, ma sento di star vomitando paure, ricordi, colpe. Vomito l'anima, e anche quello che non ne fa parte. Brucia la gola, brucia lo stomaco, brucia il petto per quello di cui lo sto svuotando. Brucia la testa, per i pensieri che non smettono mai di tartassarmi.

222B, Baker StreetDove le storie prendono vita. Scoprilo ora