{63° Capitolo}

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"But nothing is better, sometimes,

once we've both said our goodbyes.

Let's just let it go.

Let me let you go."

-Billie Eilish, "When the party's over"

[Capitolo sessantatré]

Jane

Per tutta una vita, una vita intera, non ho fatto altro che correre. Non ho fatto altro che andare veloce, cercare di accaparrarmi il posto migliore, temere ogni volta di non fare in tempo, di arrivare per ultima. Di arrivare quando ormai sarei stata inutile, impotente, immobile davanti a chi è stato più veloce di me. Non ho fatto altro che correre. Dietro a progetti irrealizzabili, sogni distrutti, aspettative deluse, persone irraggiungibili. Tutto e tutti più veloci di quanto io sarei mai stata. Sempre.

Corro anche oggi, in mezzo a queste strade di una Londra che, come sempre, è dieci volte più veloce di me. Macchine che sfrecciano, gente che s'affretta, orologi che non smettono mai di battere i secondi, di ricordarmi che non arriverò mai al loro passo. Caos ovunque e ansia perenne, che tento di mascherare come meglio posso.

«Mamma, 'ove siamo?»

A fatica riesco a non ignorare la domanda di Aden, tanto presa sono dai miei pensieri. Lo guardo un secondo, nello specchietto retrovisore, prima di tornare verso la strada.

«Andiamo a trovare lo zio John e la zia Mary»

«Perché?»

Ecco, sì, perché? Perché andare dallo zio John e dalla zia Mary di martedì mattina? Perché non nel finesettimana, come facciamo di solito? Perché siamo qui?

«Perché è un po' che non ti vedono, e a loro manchi tanto»

«Perché?»

«Perché ti vogliono bene»

«Perché?»

«Perché sei un bambino molto bravo che fa davvero poche domande»

Aden aggrotta un po' la fronte, confuso, quasi si sforzasse a capire se il mio tono sia serio o meno. Poi rilassa di nuovo il volto, forse dimenticandosi del suo stesso quesito.

«Musica?»

Con una mano ancora sul volante, avvio con l'altra il CD senza fare troppe storie. Aden si mette a canticchiare sulle note delle canzoni dei suoi cartoni animati preferiti: almeno lui, che può, riesce a rallentare i propri pensieri. Invece io, dietro ai miei, adesso, non riesco proprio a stare. Corrono anche loro, fuggono lontanissimi, chissà se riuscirò mai a raggiungerli. Non lo so. Mi passano in testa e si lasciano dietro uno strascico di parole confuse, senza senso. Un po' come la telefonata di John, ieri sera. Quella dannatissima telefonata, che ha portato così tanto scompiglio, come un temporale in un deserto di terra arida.

•••

«Oh, mio Dio...»

L'arrivo del buio aveva portato con sé una pioggerellina sottile a bagnare le strade di Nottingham. Un rivolo di umido correva lungo il vetro della mia finestra, impedendomi di vedere persino il cortile sotto casa mia, nonostante i lampioni e le luci delle case vicine. Correva veloce, veloce, chissà quanto.

«Ma... Come è successo?»

«Non lo sappiamo ancora. I medici ci hanno sconsigliato di farlo parlare con la polizia, almeno per ora. Si è svegliato da poco e non vogliono farlo stancare troppo»

222B, Baker StreetDove le storie prendono vita. Scoprilo ora