"Like starlight crashing through the room,
we'll lose our feathers.
Yes, I know it hurts at first, but...
It gets better"
-Fun., "It gets better"
[Capitolo quarantanove]
Jane
Una volta, qualche anno fa, il mio maestro di karate entrò nella palestra portando sottobraccio un piccolo registratore anni '80, di quelli che vanno a cassette. Ci chiese di alzarci in piedi, di disporci in un'unica linea e di chiudere gli occhi. Nel confuso stupore generale, spezzato dalle risatine mirate ad abbassare la tensione, ognuno di noi fece quanto chiesto. Inizialmente, una volta partita la musica, tutta quella situazione ci parve a dir poco stupida, quasi al limite dell'inutile, ma dopo solo qualche attimo fu praticamente impossibile trattenersi dal ballare e muoversi a tempo.
Lo scopo dell'esercizio, ci spiegò il maestro, era quello di riuscire a coordinare i nostri movimenti e le nostre mosse in base al ritmo della musica. Così facendo, voleva insegnarci un metodo per non perderci nei meandri della velocità ma, anzi, sfruttarla a nostro favore seguendo un tempo esterno al nostro, in questo caso quello dell'avversario.
Con quella lezione, mentre schivavo in fretta i colpi del mio partner seguendo la voce di un cantante di cui, adesso, non ricordo neanche più il nome, non mi resi conto di star imparando qualcosa che, in realtà, mi sarebbe servita per il resto della vita. Ogni volta che, infatti, mi sentivo bloccata da qualcosa che per me andava troppo veloce, mi fermavo inconsciamente e tentavo di sfruttarne il ritmo per migliorare il mio, così da raggiungerlo e, magari, riuscire a batterlo.
Adesso, in questo esatto momento, non ci riesco. Di nuovo, ho trovato qualcosa di veloce, quasi frenetico, e io sono troppo lenta per poterlo imitare. Faccio più e più volte tentativi a vuoto che mi vengono sempre sbattuti in faccia, insufficientemente buoni per riuscire nell'impresa. Io rimango ferma, davanti ad un muro così alto da sembrarmi insormontabile, e con incertezze così grandi da farmi dubitare di ogni lato di me stessa che ritenevo assolutamente certo, inattaccabile.
E ora la testa mi esplode. Pensieri troppo svelti mi vorticano nella mente, sfuggendo con abilità al mio tentativo di afferrarli ed esaminarli con cura, così da poter finalmente trovare le risposte che ancora non smetto di cercare. Spero tanto che almeno le spiegazioni di Sherlock e John mi bastino, ma anche solo la premessa sembra tanto assurda alle mie orecchie da farmi dubitare delle loro parole, sin dal principio. Forse è perché so che sarebbero in grado di raccontarmi altre bugie, o perché semplicemente sono diventata molto più scettica in ogni ambito.
«Sin dal primo esatto istante in cui mise per la prima volta piede qui dentro, il comportamento di Amanda Devine mi è sembrato tutto, fuorché naturale. Il tono rabbioso e il coraggio smisurato contrastavano troppo con la sua evidente personalità insicura, e...»
«Sì, davvero molto interessante la tua analisi psicologica, ma la domanda era un'altra» interrompo Sherlock, con un infastidito gesto della mano. «Da quanto tempo lo sospettavate?»
«Se tu mi lasciassi spiegare...»
«Non utilizzare parole ricercate, Sherlock» lo fermo ancora, incrociando le braccia. «Non ne ho bisogno»
Lui inarca lentamente un sopracciglio, scrutandomi con fare attento. «Ti è già passata la depressione, per caso?»
Ricambio l'occhiata, come ripicca per la sua ripicca. Non so perché mi sto comportando così, né cosa mi spinge a farlo. È un riflesso. Mi viene spontaneo, una risposta immediata a quello che mi sta accadendo, a ciò che mi viene detto.
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222B, Baker Street
FanfictionJane è una ventiquattrenne piena di sogni e aspettative, che si trasferisce a Londra con la sua migliore amica, pronta a iniziare una nuova, "normale" vita. Cosa accadrebbe, però, se il suo vicino di casa, un famoso detective privato, si rivelasse...