{2° Capitolo}

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[Capitolo due]

Jane

Entro da Speedy's facendo tintinnare i campanelli appesi alla porta.

«Buongiorno» dico con voce piccola piccola, sperando che nessuno mi senta.

Mi siedo al primo tavolo libero e mi metto a fissare la porta, pronta a vedere Amy che entra veloce nel locale. Aspetto una decina di minuti, guardando insistentemente l'ora sullo schermo del mio cellulare e tamburellando nervosamente le dita sul tavolo coperto da due tovaglie: una bianca di stoffa e una rossa di carta.

Non ho motivo di essere nervosa. Dopotutto, sono solo tre settimane che non vedo Amy. Eppure è così.

Abbasso lo sguardo sul mio polso, a fissare il braccialetto fatto con gli elastici per capelli quando avevo tredici o quattordici anni, e sorrido, pensando che anche la mia migliore amica ne abbia uno identico, banale ma allo stesso tempo importante: il simbolo della nostra amicizia.

Qualcuno entra: lo capisco dallo scampanellio alla porta.

Alzo lo sguardo di scatto. All'ingresso c'è una ragazza di circa venticinque anni, occhi verdi e capelli neri, che si guarda intorno come se stesse cercando qualcuno in particolare. Alzo il braccio e lo sventolo in aria per attirare l'attenzione della nuova arrivata.

I suoi occhi si puntano su di me e sulle sue labbra si forma un sorriso. Si precipita al mio tavolo e si siede. «Ciao, Jane» dice posando la borsa sulla spalliera della sedia.

«Ciao Amy. Ti vedo bene!» dico. La nostra conversazione è normale, come se ci fossimo viste solo ieri, e non tre settimane fa.

«Anche io. Hai già ordinato?»

«In realtà no. Aspettavo te»

Ci guardiamo per un lungo istante, fissandoci dritte negli occhi. Poi scoppiamo a ridere.

«Mi sei mancata, sai?»

«Oh, andiamo! Ci siamo viste meno di un mese fa! E poi ci sentiamo ogni giorno via messaggio» replica lei, ridendo.

«Sai come sono fatta, no?»

Si avvicina un cameriere per prendere le nostre ordinazioni. «Cosa prendete?» ci chiede, guardando su un blocco e tenendo una penna in mano.

Io e Amy ci guardiamo, sapendo già cosa ordinare. «Tè nero, grazie» diciamo insieme.

Il cameriere si limita a scrivere l'ordinazione sul blocco per poi tornare al bancone.

«Allora? Com'è la casa?» mi chiede la mia amica mentre giocherella con il ciondolo della sua collana.

«L'hai già vista. Non è cambiata, eh»

«Non in quel senso!» sbuffa. «Intendevo se hai fatto qualche incontro interessante»

«Ah, quello...» borbotto, delusa.

«Ad esempio, quel tipo lì. Lo conosci?» chiede indicandomi con un cenno del capo una parte del ristorante dietro di me.

Mi giro e vedo due ragazzi sui trent'anni seduti allo stesso tavolo vicino alla finestra, uno di fronte all'altro. Uno di loro è biondo ma è di spalle e non riesco a vederlo bene. È chino sul tavolo, forse sta mangiando. L'altro, invece, ha dei riccioli neri, zigomi sporgenti, porta un cappotto nero e una sciarpa blu, due occhi azzurri incredibilmente profondi. Non mangia, a differenza del suo "amico".

«Quello di spalle o il moro?» chiedo ridendo mentre guardo di nuovo Amy.

«Quello che vedi meglio, no?!» sbuffa lei.

Mi rigiro e guardo più attentamente il tavolo che, ormai, ha attirato la mia attenzione. «No, mai visto» concludo riportando lo sguardo davanti a me.

«Secondo me è un tuo vicino. È entrato prima di me, e veniva da una casa qui vicino» dice la mia amica, tutta orgogliosa.

«Amy, poteva essere andato a trovare un amico»

«Perché devi sempre scegliere le opzioni più complicate? Secondo me lo conosci»

«Ti giuro! Non l'ho mai visto» ribatto.

«Non ne sono sicura...» sussurra, scuotendo la testa.

Mi rigiro un'ultima volta, per osservare di nuovo quei visi, per vedere se mi sono familiari, quando gli occhi profondamente azzurri incontrano i miei verdi. Mi rigiro di scatto, con le palpebre sbarrate.

'Ti prego, fa che non stesse guardando me, ti prego!' mi ripeto mentalmente, ma non succede niente.

«Stai bene?» fa Amy, preoccupata.

«Mi sta ancora guardando?» chiedo, con un filo di voce.

«Chi?»

«Il moro, cavolo Mi sta ancora guardando?!»

Amy guarda un punto alle mie spalle, poi scuote la testa. Tiro un sospiro di sollievo e il mio cuore torna a battere regolarmente.

«Perché avrebbe dovuto guardarti?» fa, dopo alcuni attimi di silenzio, Amy.

«Non lo so, ma ha uno sguardo inquietante» rispondo, tenendo la schiena tesa come un pezzo di legno.

Arrivano le due tazze di tè, e noi due le sorseggiamo in silenzio, senza scambiarci nemmeno un "Potresti passarmi lo zucchero?" o qualcosa del genere. Niente di niente. L'unica cosa che spero è che i due ragazzi alle mie spalle se ne vadano dal locale il prima possibile. Quel maledetto sguardo ha un non so che di interessante, ma è riuscito a mettermi in uno strano stato di inquietudine.

Finiamo entrambe di bere, mi alzo e vado a pagare il conto. Esco velocemente, e l'aria di città non mi è mai sembrata così fresca.

Mi volto verso la mia amica. «Non so perché mi sono comportata così» dico, semplicemente.

«Va bene...» sospira. «Vuoi che ti dia una mano a sistemare il resto della roba a casa tua, domani?»

Annuisco con un sorriso e poi mi volto verso la vetrina del ristorante. Dall'altra parte del vetro vedo il ragazzo con gli occhi azzurri che mi fissa ancora, con fare inquisitorio. Porto lo sguardo verso la porta di casa mia e mi ci avvicino con passo deciso, dopo aver salutato Amy con un bacio sulla guancia. Spero solo che la mia amica non abbia ragione: quel tipo non può essere un mio vicino.

222B, Baker StreetDove le storie prendono vita. Scoprilo ora